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Chi vuol esser lieto sia… Ovvero come essere felici

Avete mai guardato che luna c’è sopra la vostra testa? E’ luna piena? E’ luna crescente? È luna calante? E’ una notte senza luna? E se è una notte senza luna che nome ha?

Nelle nostre giornate a volte ci sentiamo pieni di energie a volte scarichi, diamo la colpa allo stipendio troppo basso o al treno che arriva sempre in ritardo, ma non alziamo mai lo sguardo al cielo. Così non sapremo mai che in luna calante la nostraforza diminuisce e nelle notti senza luna l’energia si accende per nuovi progetti e nuove storie.

È vero senza errore e menzogna, é certo e verissimo.
Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per compiere i miracoli della Cosa-Una. Da ciò deriveranno innumerevoli adattamenti mirabili il cui segreto sta tutto qui.
Pertanto io fui chiamato Ermete Trismegisto, possessore delle tre parti della Filosofia di tutto il mondo.

Eh si, ma noi le costellazioni non le guardiamo. Sono troppo lontane dai nostri guai terreni. Eppure ognuna di loro racconta la storia di un eroe, Orione, Andromeda Cassiopea Perseo, Ercole, Corona Boreale. Eroi che in fondo in fondo ci assomigliano. Ma noi, no, le storie preferiamo leggerle sul Kindle alla vitrea luce del computer.

Ma va beh, smettiamo di fare voli pindarici e mettiamo i piedi per terra: abbiamo mai guardato come cadono a terra le foglie in autunno? abbiamo mai guardato il loro volteggiare e le loro curve sinuose?

Ci è mai capitato di vedere la vita che cerca sempre una via in quel soffione che cerca di farsi largo tra la lastra del marciapiede e l’asfalto della strada.

Così dovete pensare di questo mondo fugace:
Una stella al mattino, una bolla in un fiume; Il lampo in una nube estiva,
Una luce tremolante, un fantasma, e un sogno.

Buddha, il sutra del Diamante.

E abbiamo mai osservato le mille le mille forme di un sasso o gli strani vermi che brulicano sotto di esso?
Eppure sono associati al processo di decomposizione e trasformazione nella natura e si collegano al concetto di metamorfosi personale o al cambiamento interiore.

Eravamo vermi prima di essere uomini e torneremo vermi prima dell’ultima nostra trasformazione.

Una buona pratica preliminare di qualunque altra è la pratica della meraviglia.
Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi.
Guardarsi attorno e lasciar andare il concetto di albero, strada, casa, mare e guardare con sguardo che ignora il risaputo.

Esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura.

Chandra Candiani

felici

E allora, volete essere felici? Imparate a coltivare quella qualità tanto preziosa che è l’attenzione. Prestate attenzione agli esseri umani, agli alberi, ai fiori che incontrate sul vostro cammino, alle gocce di pioggia, alle farfalle, agli insetti, agli uccelli…
Prestate attenzione alla vostra vita interiore.
Perché anche voi siete abitati da presenze invisibili che volteggiano di fiore in fiore, cantano fra gli alberi e come quelle che popolano le fiabe e fanno brillare mille gocce di rugiada nella vostra anima.

Il poliamore come superamento del concetto di possesso

Il Possesso nelle Relazioni Tradizionali
Nelle relazioni monogame, il concetto di possesso può manifestarsi in vari modi. Spesso, è legato a idee di esclusività, gelosia e controllo. La psicoanalisi può interpretare il possesso come una manifestazione di insicurezze profonde, bisogni non soddisfatti, o come un riflesso di modelli di attaccamento formatisi nell’infanzia. Il possesso può anche essere visto come un tentativo di stabilire sicurezza e prevedibilità in una relazione.


Il Poliamore e il Superamento del Possesso
Il poliamore sfida direttamente il concetto di possesso, poiché si basa sull’idea che l’amore non debba essere limitato o esclusivo. Questo approccio può aiutare le persone a esplorare e a superare le proprie insicurezze e a sviluppare una maggiore fiducia e comunicazione.
Gestione della Gelosia: Il poliamore richiede di affrontare e gestire la gelosia in modi non convenzionali. Questo può portare a una maggiore consapevolezza di sé e a una comprensione più profonda delle proprie emozioni.
Comunicazione e Onestà: Le relazioni poliamorose spesso richiedono un livello di comunicazione e onestà superiore rispetto alle relazioni monogame, poiché i partner devono negoziare i termini delle loro relazioni con più persone.
Sicurezza Emotiva: Il poliamore può anche sfidare le persone a trovare sicurezza emotiva non solo nei loro partner, ma anche in se stesse. Questo può portare a un maggiore sviluppo personale e a una maggiore indipendenza emotiva.
Riflessione sui Modelli di Attaccamento: Il poliamore può offrire l’opportunità di esplorare e sfidare i modelli di attaccamento esistenti, permettendo alle persone di sviluppare nuovi modi di relazionarsi con gli altri.

Possiamo quindi dire che dal punto di vista psicoanalitico, il poliamore può essere visto come un percorso verso una maggiore maturità emotiva e una comprensione più profonda di sé. Tuttavia, è anche importante riconoscere che il poliamore non è una soluzione universale ai problemi relazionali e può presentare le sue sfide uniche. La capacità di un individuo di prosperare in una relazione poliamorosa dipende dalla sua storia personale, dai suoi modelli di attaccamento e dalla sua capacità di gestire complesse dinamiche emotive.

Uomo: vai a parlare con uno di bravo

La violenza sulle donne è quel avvenimento inquietante che più se ne parla più si riproduce, come se fosse un gesto seriale di una tribù di maschi spaventati, che non riescono a lasciar andare lo scettro del comando.

Dire che le donna vengono uccise per gelosia è semplificare alla grande.

No, non è gelosia.

No, non è possesso.

E’ invidia

Nel nostro tempo anche grazie alla messa in discussione del genere si sta assistendo al passaggio da una società patriarcale a una matriarcale e alcuni uomini invidiano il super potere creativo del femminile.

Questa ondata di colore, fiori e grazia travolge i maschi più deboli che restano attoniti a far biscotti al gusto di rabbia.

A dire il vero questa invidia c’è sempre stata.

Ecco perché per secoli la donna è stata emarginata, nella migliore delle ipotesi, o arsa al rogo come strega nella peggiore.

Ma ora ciò che è stato represso per secoli sta verificandosi, le donne stanno ritrovando le loro dee, il loro volere e il loro potere e la cultura dominante tende a cambiare anche grazie alla messa in discussione della questione di genere.

Grazie, quindi alle persone che, indipendentemente dal loro genere assegnato alla nascita, rifiutano la polarizzazione e non si riconoscono in nessuno dei due generi e indicando l’arcobaleno cambiano il mondo.

Figli narcisisti? Parliamone

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Se si cerca in rete “ figlio o figlia narcisista” non si trova nulla o meglio si trova solo e soltanto una donna colpevole di aver educato un egocentrico.
Nessuna traccia di quella stessa madre spesso fagocitata da un figlio con pretese senza senso o stritolata da obblighi morali. Possibile che nessuna abbia mai denunciato il problema di avere un figlio narcisista?

Nessuna donna ha mai cercato il sostegno di altre donne quando la figlia le urla il suo odio, o il figlio si scorda di lei il giorno di Natale?
Ci sono gli amanti narcisisti, mariti narcisisti, sorelle narcisiste e poi tante, tantissime madri narcisistiche colpevoli di aver educato una figlia tutta presa da se stessa o un figlio incapace di avere relazioni.

Eh si, di narcisisti ce ne sono tanti. E allora, cos’è una catena infinita di donne colpevoli?
Ma può esistere un figlio narcisista che non sia opera di una madre abbandonica o narcisista a sua volta?

Beh! francamente credo di si, e spesso queste donne trovano solo articoli, blog, addirittura siti che la ritengono colpevole senza appello.
Esiste persino un libro che si intitola La madre narcisista che scrive:

Ti senti come se fossi maledetta perché tutte le tue relazioni semplicemente non funzionano?
Trovi difficile dire no perché hai paura de rifiuto?
Ti senti vuota o indegna d’amore?

E’ ora di parlare di tua madre
Di tua madre? E il padre dov’era? La società dov’era? La scuola dov’era?
“I tuoi figli non sono figli tuoi, sono figli e le figlie della vita stessa. Tu li metti al mondo, ma non li crei. Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.”

Recita Khalil Gibran.

Naturalmente la poesia vuole liberare i figli dal giogo genitoriale ma intanto ci ricorda che i figli non sono nostri ma sono figli del mondo.
Però quando le cose vanno storte sono figli della madre?

Ma se le donne non sono libere perché strette in un mito così ingombrante potranno mai insegnare la libertà ai figli?
E poi comunque siamo proprio sicuri che sono gli altri a formare il carattere quando siamo cuccioli?
Hillman sostiene:

Se esiste nella nostra civiltà una fantasia radicata e incrollabile, è quella secondo la quale ciascuno di noi è figlio dei propri genitori e il comportamento di nostra madre e di nostro padre è lo strumento primo del nostro destino. Così come abbiamo i loro cromosomi, allo stesso modo i loro grovigli e i loro atteggiamenti sono gli stessi nostri. La loro psiche inconscia – le collere rimosse, i desideri irrealizzati, le immagini che sogna no la notte – conforma congiuntamente la nostra anima e noi non riusciremo mai e poi mai a venire a capo di questo determinismo e a liberarcene. L’anima individuale continua a essere immaginata biologicamente come un frutto dell’albero genealogico.

Il codice dell’anima. Hillman, James.

Tutto ciò non vi appare claustrofobico? Non solo per noi ma anche per i nostri figli aggrovigliati a questo cordone ombelicale che li tira dentro all’ elica del DNA sino a strozzarli.

Sempre Hillan:

Da qualche parte, tuttavia, un folletto continua a sussurrare un’altra storia: «Tu sei diverso; non assomigli a nessuno della famiglia; tu non sei dei loro». Nel cuore si annida un eretico, che chiama la famiglia una fantasia, una superstizione.

La famiglia come una superstizione? Sembra intollerabile.

Ma nonostante nuove scienze escono da questa semplificazione della condizione di genitore, i riformatori morali e certi psicoterapeuti parlano ancora di «cattiva madre» e a volte ma non sempre di «padre assente».

Io credo che siano le storie che possono liberarci dalle credenze e quindi ve ne racconto due che a distanza di secoli si parlano e si guariscono a vicenda.

Johanna Schopenhauer, fù madre del filosofo Arthur Schopenhauer, nacque a Danzica, all’epoca nel Regno di Polonia. Ella scrisse un’ autobiografia dove l’argomento principale era il suo intricato rapporto con il figlio.

Joanna fu una ragazza precoce, prima dei dieci anni sapeva già il polacco, il francese e l’inglese, ed ebbe sin da bambina una grande passione per l’arte.

A 18 anni sposò Heinrich Floris Schopenhauer, un ricco mercante di vent’anni più anziano di lei e da quel matrimonio ebbe due figli Arthur e Adele.

Un anno dopo la morte del marito nel 1805, Johanna si spostò con la figlia a Weimar, città dove non aveva né amici né parenti e che era provata dall’invasione delle truppe di Napoleone.

Malgrado il rischio di guerra imminente, Johanna si rifiutò di lasciare la città, impegnandosi a favore dei bisognosi, assistendo

i soldati tedeschi e dando asilo ai cittadini meno fortunati le cui case erano state sequestrate dai francesi invasori.

Il figlio Arthur non la seguì ma rimase ad Amburgo dove, anziché intraprendere la professione del padre, decise di studiare filosofia.

Dopo la guerra Johanna divenne una salonnière e per anni accolse in casa sua eminenti personalità e celebrità della città.

Il rapporto tra Johanna e Arthur non fu idilliaco: nelle lettere scritte a Schopenhauer, Johanna lasciava chiaramente trasparire la sua personale opposizione al pessimismo ed all’arroganza del figlio e delle sue tesi filosofiche.

Quando, nel 1809, Schopenhauer decise infine di trasferirsi anch’egli a Weimar, decise di non vivere sotto il tetto della madre.

Dopo il 1814, madre e figlio non si rividero mai più, scrivendosi unicamente via lettera, ma anche queste si interruppero dopo che Johanna ebbe l’occasione di leggere una lettera scritta da Arthur a sua sorella Adele, nella quale accusava la madre della morte del padre, mentre lei si dedicava stoltamente a feste e lui soffriva, malato ed abbandonato, lasciato alle cure dei suoi fedeli servitori di casa.

La corrispondenza tra madre e figlio riprese solo nel 1831 e fu Arthur a fare il primo passo, motivato, apparentemente, da difficoltà economiche.

La corrispondenza continuò sporadicamente sino alla morte di Johanna nel 1838.

Malgrado i toni cordiali di quest’ultima corrispondenza tra Johanna ed Arthur, quest’ultimo continuò a denigrarla anche dopo la morte, definendola una accentratrice.

Da parte sua, nel suo testamento, Johanna diseredò Arthur.

Nel libro dal titolo La cura Shopenauer lo psicoanalista Irvin Yalom racconta che uno psicoterapeuta coinvolge in una terapia di gruppo Philip un filosofo arrogante, sessuomane e narcisista e la situazione degenera ad un tale livello che lo psicoterapeuta affronta il trattamento di Philip ricorrendo al pensatore che l’arrogante filosofo considera il suo guru personale, il suo alter ego: Arthur Schopenhauer.

La “cura Schopenhauer” inizierà a mostrare i suoi effetti etc etc.

L’importante per noi, però, è notare come cercando in letteratura si possa trovare esempi di madri pressoché buone che hanno figli narcisi e di psicoanalisti contemporanei che non scagliano la “Colpa” sulla madre.

Nei testi di Irvin Yalom non compare mai il travagliato rapporto che il giovane Philip alter ego di Schopenhauer deve aver avuto con la madre o se compare non è in forma di denuncia ma di comprensione.

Ma nella semplificazione della rete invece cosa succede? La madre è sempre la responsabile e se esiste un figlio o una figlia narcisista di sicuro lei è la colpevole.

Prova ne è che, come dicevo sopra, in nessun blog, in nessuna chat, in nessun forum troviamo una donna che si sfoga affrontando questo tema.

Le madri colpevoli di un figlio narcisista tacciono. L’accusa è troppo forte, meglio rinchiudersi nel proprio guscio, meglio non cercare compagne o amiche perché la società ci mette alla gogna e una donna che si macchia di tale empietà deve solo tacere.

Ma come disse il matematico Godfrey Hardy, «una persona seria non sta a perdere tempo nel formulare l’opinione della maggioranza».

Quindi andiamo avanti e ascoltiamo pensatori più evoluti.

Hillman ci propone una lettura del problema più antica ma non per questo meno attuale: la teoria della ghianda.

E stato il mio daimon a scegliere sia l’ovulo sia lo spermatozoo, così come aveva scelto i portatori, detti «genitori».
La loro unione deriva dalla mia necessità, non il contrario.”
Per Hillman il Daimon è il carattere del bambino che secondo la leggenda antica prenota in anticipo la madre che deve metterlo al mondo, forse addirittura la predetermina, o almeno così sostiene la teoria della ghianda.

Questo non aiuta a spiegare i fratelli completamente diversi l’uno dall’altro? Figli musicisti da genitori con tutt’altra professione, figli laureati con fratelli con solo la scuola dell’obbligo.

D’altra parte anche Johanna Schopenhauer aveva due figli: Adele e Arthur. La figlia di Johanna è stata vicino alla madre sino alla morte mentre il figlio l’ha ripudiata adducendo stupide scuse.

La teoria della ghianda, del Daimon e del carattere è stata formulata nella Grecia antica, in tempi in cui non tenevamo il mondo sotto controllo.
Oggi ci pare di dominarlo il modo ed è difficile accettare il mito della ghianda, il quale avviene prima del concepimento, in un tratto di tempo che non possiamo controllare.

E’ molto più facile attribuire la colpa ad un solo essere così psicoterapeuti cognitivo comportamentali, assistenti sociali, rigidi moralisti possono controllare sia la donna sia il bimbo.

Il mito della madre è una narrazione come tante altre, nata forse per controllare il femminile.

Sottolineata dal cattolicesimo con la figura della Madonna, madre vergine, santa e pura, un’atra storia bellissima ma sempre mitologica.

Però se nella nostra società possiamo accettare così facilmente il mito della Madre, perché non dovremmo, accettare il mito della ghianda?
A farci arricciare il naso di fronte alla teoria della ghianda non può essere la resistenza ai miti, visto che ci beviamo senza fiatare il mito della Madre.

Tutto cambia: genere fluido, economia, definizioni giuridiche di maternità e paternità, concepimento, adozioni, medicine, diagnosi, libri sull’educazione dei bambini.
La fisica quantistica sta cambiando anche il mito scientifico della causa ed effetto: ad un certo fenomeno non segue più una determinata conseguenza ma un’onda vibrazione indurrà il cambiamento e laddove non esiste una causa non esiste neanche una madre colpevole.

Soltanto il mito della madre come elemento dominante nella vita di ciascuno non cambia ma e il pregiudizio della colpa della madre resta scolpito nella roccia e quindi se un figlio o una figlia sono narcisisti la colpa è della madre.

La società e i padri tacciono abbassando la testa mitizzando la maternità per poterla meglio colpevolizzare.

Dream’s journaling.

Un pomeriggio d’autunno ero in studio e qualcuno bussò.
Aprì la porta quel tanto da farmi intravedere una vicina infagottata in un impermeabile, stile tenente Sheridan, con un buffo cappello calcato in testa
Mi salutò tendendo in avanti le mani aperte.
Guardai le sue mani e intravidi un foglietto un po’ sgualcito.
Annusai l’aria quasi a fiutare un pericolo.
Ne sapeva di vaniglia, lo stesso odore di budino dei bambolotti per neonati.

Mi domandai cosa volesse da me quella signora e perché mi porgesse quello strano biglietto, sottolineato con l’evidenziatore giallo e scritto fitto, fitto a margine.
“Questo è suo…” disse
“No, non è mio, non è la mia calligrafia.”

“Le dico che è suo.” Replicò l’attempata vicina tutta rossa in viso
“Ma perché dovrebbe essere mio?”
“E’ un sogno.” Disse, cercando di liberarsi da quel fardello e abbassando la testa.
“Ah beh.” Risposi e afferrai il biglietto.
Salutai e chiusi la porta come un ladro sorpreso a rubare.
Nel mio studio guardai il foglio in tutta la sua bellezza, le lettere tendenti a destra, il giallo vivo dell’evidenziatore, gli appunti scritti in nero e molto più piccoli.
Una riga rossa divideva il foglio in due triangoli. E il segno di un’impronta di grossa scarpa stava nel quadrato destro.
Si, certo lo riconobbi era il sogno che mi aveva raccontato Serena poche ore prima.
Era una giornata di pioggia e tra la borsa, l’ombrello e la foga di ciò che aveva appena scoperto, Serena aveva perso il foglio del sogno della notte prima.
Ripensando alla faccia quasi scandalizzata della signora, come se fosse stata testimone di un atto magico, mi scappa ancora da ridere.

L’avrà letto il sogno?
Non mi importa; anche se l’avesse letto il messaggio dei sogni è cifrato, solo pochi interpretatori di sogni lo possono decifrare.
E, infatti, è proprio così; la signora ha ragione i sogni sono magici; sono messaggeri del corpo, comunicano con noi indicandoci emozioni represse, evidenziandoci aree che necessitano di aiuto in un modo in cui la ragione non può interferire.
I metodi per lavorare con i sogni sono tanti ed è chiaro che con l’aiuto di una guida, come nel film Stalker, si ci può avvicinare a pozze d’acqua, a tempeste notturne e a luoghi sconosciuti ai più, ma si può fare anche da soli.
In un altro articolo sul sogno ho raccontato di quella nonna di un mio paziente che teneva sul comodino un taccuino, tra il rosario e l’acqua, per potervi scrivere i sogni. Non era in analisi, non se li giocava al lotto, non conosceva la Cabala ma le piaceva leggerli e rileggerli, per lei erano come poesie.
Per noi, invece, uomini tecnologici, i sogni sono l’ultimo spazio di vita che non possiamo postare o fotografare e quindi sono l’ultimo lembo di in territorio solo nostro, uno spazio di libertà.


Come scrive la poetessa Patrizia Cavalli:

Basta
Scivolo nel sonno, qui comincia Il mio libero arbitrio

Se volete quindi, sentirvi liberi attraverso i sogni potete tenere un dream’s journaling.
Vi assicuro che quando avrete voglia di rileggerli vi ricorderanno il tempo passato facendovelo ri-immaginare, e sarà meglio del guardare certe fotografie fatte di sorrisi forzati e dita che segnalano una vittoria mai avvenuta.

Bastano pochi minuti della giornata per scrivere un sogno e rifletterci sopra, e sarà come una meditazione non indotta da altri, ma una meditazione su se stessi, sui simboli ed archetipi che noi stessi produciamo.
Il dream’s journaling va compilato ogni mattina appena svegli per evitare che la luce della ragione oscuri il mondo sotterraneo dei sogni.

Fatevi queste domande e ne vedrete delle belle:

Che odori c’erano?
Era in bianco e nero o a colori?
E se era a colori qual era che la tavolozza? Che sentimenti stavi vivendo?
La scenografia com’era?
Chi c’era con te?
Ricordava un quadro? quale quadro? Ricordava un libro? Quale libro? Ricordava un film? Quale film?

L’anima quando sogna è al tempo stesso il regista, gli attori e il pubblico.

Quindi cosa direste del vostro sogno come regista? Come attore?
Come pubblico?
E’ bello vi piace?

C’è una bella fotografia o è meglio la trama?
Gli attori recitano bene o sono un po’ incapaci?
C’erano delle strade da percorrere? Questo ti può indicare qualche strada da seguire?

Inoltre, l’immagine dell’altrove dentro sogno la si può rendere materia, si può disegnare e amplificare. Per amplificare, forse è meglio avere una guida.
Si possono fare collage, poesie, qualcuno è riuscito a scrivere dei libri e qualcuno ne ha fatto dei film, vedi Fellini.

I sogni sono individuali e rappresentano sempre qualcosa di importante della nostra vita e anche se ci portano un simbolo archetipale universale questo aggiungerà qualcosa in più alla nostra vita anche se non interpretato ma solo guardato in tutta la sua bellezza.

Ma se dopo anni con il quaderno bello e pieno di immagini volete saperne di più di quel mondo che incontrate ogni notte, il mio numero di telefono è nel link in bio

Una notte senza Luna, Michela Murgia e la Lilith

Michela Murgia è morta il 10 agosto, la notte di San Lorenzo, nel buio di un cielo quasi senza luna.
Le notti senza Selene vengono chiamate le notti della luna nera, e sono le notti di Lilith la prima donna creata da Dio, che a differenza di Eva voleva però essere libera.
Beh, non proprio a differenza di Eva.
Ma andiamo con ordine.

La leggenda di Lilith, demone-femmina, possiede un’ampia letteratura diffusa sia in epoca antica, medievale e moderna.
Questo mito affonda le sue origini nella religione mesopotamica e nei primi culti di quella ebraica.
Nella religione Mesopotamica, Lilith, è un demone femminile portatore di sciagure e morte, legata al vento e alla tempesta Nella religione ebraica, invece, Lilith è la prima moglie di Adamo che si rifugia nel Mar Rosso per fuggire dal marito.
Lilith, infatti, essendo stata creata da Dio insieme ad Adamo con lo stesso fango, pretendeva di avere anche gli stessi diritti, che, però, le furono negati.
Per questo suo gesto di ribellione fu associata a un demone notturno, che compariva in forma di civetta. Tuttavia, per le femministe di fine Ottocento, Lilith diventò simbolo della libertà delle donne in quanto figura archetipica rimossa dalla società patriarcale nella quale, ancora, viviamo.
Per quanto riguarda il nome di Lilith, le fonti sono scarse.
Sicuramente è rintracciabile la radice sumera Lil, che è presente nei nomi di varie divinità assiro-babilonesi e di spiriti cattivi.
Nella religione accadica si rintracciano scongiuri e preghiere contro figure maligne e demoniache di nome Lilitu o Lilu.
Tuttavia nel 2000 a. C. sembra che il nome fosse diventato Lilake e Lilake, che sarebbe stata una figura demoniaca femminile, che risiedeva nel tronco di un salice, custodito dalla dea Inanna, Signora del Cielo ed equivalente della romana Venere.
Un’ etimologia ebraica, invece, farebbe derivare il nome di Lilith da Layl o anche Laylah, dallo spirito della notte.
Tuttavia gli studiosi moderni ritengono che l’origine del nome sia nel sumerico; Lulu che significa libertinaggio. Lilith sarebbe, dunque, un demone notturno lascivo e libidinoso.
 
Il Rilievo Burney è un altorilievo di terracotta, conservato al British Museum, risalente al II millennio a. C. probabilmente di origine babilonese. Raffigura una divinità, non ancora bene identificata, che, però, potrebbe essere Lilith.
L’immagine scolpita è una figura ibrida, disposta in piedi frontalmente, con le braccia aperte e piegate come se stesse pregando, le mani congiunte e le dita unite. La bocca è atteggiata in un vago sorriso, l’espressione è ieratica e ineffabile. Quattro serpenti intrecciati e sovrapposti formano un cono, i seni si protendono prosperosi. Le gambe sono femminili ma i piedi sono artigli di avvoltoio che spuntano dalle dita rugose.
Lilith tiene nelle mani due stelle a cinque punte inscritte in un cerchio.
Ai lati sono rappresentati due volatili, un gufo o una civetta e due leoni.
L’opera riempie lo sguardo di energia aggressiva e l’espressione di Lilith appare agghiacciante nella sua staticità
Anche nella tradizione ebraica Lilith, la prima moglie di Adamo è una creatura demoniaca di cui non fidarsi.


 La troviamo in Isaia 34:14:
“Gatti selvatici si incontreranno con iene, i satiri si chiameranno l’un l’altro; vi faranno sosta anche le civette e vi troveranno tranquilla dimora.”
 Alcuni passaggi oscuri della Genesi invece hanno fatto pensare ad un’altra donna che precedette Eva.
Nel primo libro della Genesi, si legge:
“Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò.”

Dunque ci si riferisce a due individui e la creazione di Eva è descritta nel secondo libro della Genesi, successiva a quella di Adamo, da una sua costola (Genesi 2:22):
Allora Jahvè Dio fece cadere un sonno profondo sull’uomo che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse della carne al suo posto.
Seguendo il passo biblico si legge un altro particolare interessante nella reazione di Adamo alla vista di Eva (Genesi 2:22-25):
Jahvè Dio costruì la costola che aveva tolta all’uomo formandone una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne!”


Lo stupore di Adamo che questa volta la donna sia carne della sua carne conferma che ci deve essere stata una prima volta, riferito dunque a una donna precedente creata dal suolo come lui.
Che in queste righe aleggi una rimozione e un desiderio di mutare la storia a favore del patriarcato è abbastanza evidente.
 Una fonte interessante che parla di Lilith come della prima figura femminile vista da Adamo è sicuramente L’alfabeto di Ben-Sira di un autore anonimo, scritto nel X secolo d. C. Nell’opera si racconta che Lilith lasciò Adamo e abbandonò il giardino dell’Eden.
Viene raccontato che quando i due si accoppiavano, evidentemente Lilith giaceva sotto e Adamo sopra, per questo la donna mostrava insofferenza, domandando al compagno perché dovesse stendersi sotto di lui, pur essendo stati creati insieme dal fango. Lilith proponeva, quindi, di invertire le posizioni ma Adamo gli negava questo diritto eppure Lilith chiedeva, solo, l’uguaglianza per stabilire una parità e un’armonia fra i corpi e le anime.
Ella allora disse: “Non starò sotto di te”, ed egli rispose “E io non giacerò sotto di te, ma solo sopra. Per te è adatto stare solamente sotto, mentre io sono fatto per stare sopra”
A questo punto Lilith pronunciò infuriata il nome di Dio e, accusando Adamo, abbandonò il paradiso terrestre e si rifugiò nel Mar Rosso dove, accoppiandosi con Asmodai, demone biblico, creò un’infinita generazione di demoni detti Lilim.
 
Il rifiuto di obbedire a Adamo che Lilith rivendicò, oltre ad essere un atto di ribellione nei confronti dell’uomo è anche un atto di ribellione verso Dio che, infatti, la esilia nel regno delle ombre.
E’ interessante notare come questo mito sia stato rimosso dalle Sacre Scritture, rimanendo però vivo in quelle incongruenze della Genesi e soprattutto, in Eva.
Sarà infatti Eva, spinta dall’istinto di curiosità e trasgressione, a mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male.
Da questo momento in poi non solo Lilith, ma anche Eva e tutte le altre donne verranno, consciamente o inconsciamente, associate dalla cultura giudaico-cristiana al simbolo demoniaco del serpente e quindi del Male.
 
Nella cultura cristiana Lilith è un demone, simbolo di trasgressione e peccato ma l’archetipo che rappresenta non può essere rimosso in nessun modo, perché vive nel nostro inconscio, e simboleggia la forza, la disobbedienza e la trasgressione del Femminile.
Rimuovendo la creazione della prima donna si è rimosso anche l’energia vitale delle donne, la capacità di difendere i propri diritti, la legittimazione del desiderio sessuale e la giusta parità con l’uomo, in ogni ambito, anche nella divisione del potere.
L’aspirazione e i desideri dell’Anima femminile sono stati repressi e si è esalta solo la dimensione materna del Femminile.
Agendo in questo modo le donne sono state tagliate totalmente fuori dalla costruzione della società che è, ancora oggi, prettamente maschile, e si è creato uno sbilanciamento degli equilibri tra i due sessi.
L’archetipo materno è stato esaltato a discapito di Lilith, per due ragioni: perché si garantiva la sopravvivenza della specie e perché era così più facile controllare il perturbante insito nel femminile.

Nel corso della storia dell’Occidente, la concezione giudaico-cristiana che vede la donna come fonte di peccato e perdizione ha decisamente influito sul pensiero patriarcale, e questo ha portato le donne a stare blandamente ai margini di una società controllata e costruita da uomini per gli uomini e che, non tenendo conto della diversità e della pluralità del genere umano, è destinata al collasso.
Lilith simboleggia invece la forza dell’erotismo congiunto alla dimensione dell’occulto, L’affrancamento dai vincoli e la sfrenatezza degli istinti repressi; costituisce in un certo senso la parte in ombra della psiche femminile e forse, chissà anche di quella maschile.
Per evitare la caduta in questo momento storico è necessario riscoprire la figura di Lilith, in quanto archetipo della ribellione e della disobbedienza a un potere assoluto. Lilith è un mito che  agisce nella psiche di tutti, maschi e femmine, ed è quindi, risorsa dell’umanità intera.  

 
 
Soprattutto Lilith invita il femminile a non aver paura a dire e a fare ciò in cui crede. In questo senso Michela Murgia è stato un grande esempio di donna “senza paura”.

Ha approfittato della sua consapevolezza di dover andare, come Proserpina, nell’Ade per urlare un po’ più forte i diritti delle donne e delle minoranze.

NO alla sottomissione

NO alla disuguaglianza

NO alla manipolazione

NO alla prigionia

Lilith vuole essere libera. Sa quello che deve fare e lo fa.

Le parole per dirlo

Abbiamo bisogno delle definizioni?
No, forse no.
Solamente la mente umana inventa categorie e tenta di costringere i fatti in caselle separate.
Nella realtà in natura è molto raro che si riscontrino categorie nettamente separate.
E quindi? Come facciamo a capirci?
Dal mio punto di vista ci possiamo capire con le parole; le parole sono trasformabili, aperte e accoglienti. Shackerate nel giusto modo possono diventare poesia, prosa, canzone; inventarsi quello che ancora non c’è e ricordare quello che c’era.
Le parole traccino dei confini sfumati che possono anche sparire da un giorno all’altro.
Con le parole si può giocare, si può chiamare chi ci sembra di riconoscere o colui vogliamo che faccia parte del nostro gruppo .
Le parole possono cambiare, le parole possono farci evolvere.
Colgo l’occasione di questa riflessione sul sesso, sul genere e sull’ orientamento sessuale per scrivere di nuove parole e ve ne indico alcune che danno voce al non conforme ma non restringono il campo pur dando modo di riconoscersi in esse e creare comunità.
Parole che servono un po’ a tutti per capirci e per evolverci.


TRANSGENDER Le persone transgender, che desiderino o meno modificare il proprio corpo o il proprio aspetto, sono quelle che non si riconoscono nel genere assegnato alla nascita
TRANSESSUALE Alcune persone transgender sono anche transessuali nel senso che si stanno sottoponendo, o lo hanno fatto, a un’operazione di transizione da un sesso all’altro. A volte preferiscono non definirsi transgender, ma semplicemente donne e uomini.
TRANS Espressione usata per descrivere l’esperienza di persone che vivono un genere diverso rispetto a quello assegnato alla nascita, siano esse transessuali o transgender. Una donna trans è dunque una persona il cui sesso anagrafico attribuito alla nascita è maschile, ma che invece si sente e si riconosce come donna. Un uomo trans è una persona il cui sesso anagrafico attribuito alla nascita è femminile, ma che invece si sente e si riconosce come uomo.
CISGENDER Sono le donne e gli uomini che si riconoscono nel sesso assegnato alla nascita in base ai loro organi genitali e possono essere eterosessuali, omosessuali o avere altri orientamenti sessuali; per quello che si sa; sono la maggioranza delle persone.
DI GENERE NON BINARIO Sono le persone trans che non si riconoscono né come donne né come uomini e rifiutano la concezione binaria del genere, quella per cui esisterebbero solo queste due alternative.
IDENTITA’ SESSUALE E’ il complesso degli aspetti che descrivono la sessualità di una persona; il sesso, il genere, l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Le identità sessuali non conformi sono tutte quelle che storicamente sono state considerate una eccezione alla normalità, dunque tutte le identità sessuali diverse da quelle delle persone cisgender ed eterosessuali.
QUEER E’una parola inglese che in passato significava “strambo”, “eccentrico” e in senso dispregiativo, “finocchio”, “frocio” Negli anni novanta, però, le stesse persone etichettate come queer si sono riappropriate del termine utilizzandolo in positivo per sancire la propria estraneità da identità fisse, categorie precostituite e logiche dicotomiche tipo eterosessuale/omosessuale, maschile/femminile. Grazie al potere delle parole quello che prima era un insulto oggi è usato per comprendere tutte le identità sessuali non conformi, oltre che per descrivere le filosofie legate alla prospettiva delle persone queer e le culture da loro sviluppate.
Magnifico esempio di famiglia queer ci è mostrato in questo momento, in Italia, dalla festa di matrimonio della giornalista Michela Murgia.
INTERSESSUALE Termine che non ha nulla a che vedere con l’identità di genere, né con l’orientamento sessuale: si usa per indicare le persone con caratteristiche biologiche riconducibili al sesso femminile e altre riconducibili al sesso maschile.
BISESSUALE; PANSESSUALE E ASESSUALE Descrivono orientamenti sessuali. “Bisessuale” è chi prova attrazione per persone di due o più generi. “Pansessuali” sono persone per cui il genere non è un fattore di attrazione e che possono essere attratte da chiunque, a prescindere dal suo genere.“Asessuale” è chi non prova desideri sessuali per nessuna persona. Le persone asessuali possono comunque provare sentimenti romantici e definirsi, ad esempio “eteroromantiche” o “omoromantiche”.
LGBTQIA+ E’ la sigla usata per descrivere la comunità formata da chi ha identità sessuali non conformi. Fu introdotta negli anni novanta e inizialmente solo lesbiche, gay, bisessuali e trans(LGBT); più di recente sono state aggiunte la Q queer, la I di intersessualità e la A di asessuali con un segno + in fondo a indicare la maggiore incisività possibile e tutte le altre definizioni non conformi di sé.
COMING OUT E’ l’espressione con cui si descrive l’atto di rivelare il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere agli altri; in Italia è spesso confuso con “outing”, che invece in inglese viene usato per descrivere il rendere pubblico l’orientamento sessuale o l’identità di genere di un’altra persona, di solito senza il suo consenso.
GENDERQUEER Definisce le persone di genere non binario che si oppongono agli stereotipi sui generi e si riconoscono in un mix personale di caratteristiche che possono essere associate al genere femminile o a quello maschile, Alcune persone usano “di genere non binario” e genderqueer come sinonimi, per altre il secondo termine include anche donne e uomini trans, e per altre ancora contiene una sfumatura di contestazione politica alle norme di genere. Si usa anche genderfuck per chi vuole ribadire la sua identità di genere in modo provocatorio.
GENDERFLUID Descrive le persone di genere non binario che si riconoscono nel genere femminile o in quello maschile in certi periodi della vita e non in altri; ci sono anche le persone che si definiscono gender “questioning” perchè si stanno ancora interrogando sulla propria identità di genere.
AGENDER sono le persone che preferiscono non definirsi con nessuna categoria di genere.
ANDROSESSUALE GINOSESSUALE E SKOLIOSESSUALE Androsessuale ginosessuale e skoliosessuale sono alcune delle parole che si cominciano ad usare per superare i limiti di eterosessuale e omosessuale che definiscono l’orientamento sessuale di una persona sulla base del suo genere; il primo termine indica chi prova attrazione sessuale per gli uomini, il secondo chi la prova per le donne, il terzo per le persone non binarie.

Quindi alla fine non farò in tempo a scrivere questo articolo che ci saranno nuove parole per dipingere nuove realtà e proprio grazie al colore il mondo si farà più libero.


Ah, già dimenticavo!
Un mondo ARCOBALENO.

Scrivi che ti passa

Pierre Hadot nel libro: Introduzione ai «Pensieri» di Marco Aurelio dice che l’Imperatore definisce “cittadella interiore” quel centro della nostra interiorità che non viene scalfito da nessuna delle cose che stanno fuori.
Eh si; se ci pensate bene, tutto ciò che ci turba arriva da fuori.
La collega critica, il capo guarda con tono di rimprovero, il nostro ragazzo ha scritto un whatsapp che lascia intendere uno scarso interesse nei nostri confronti, i nostri genitori ci vorrebbe diversi, la società vorrebbe che avessimo già fatto cose che non abbiamo ancora fatto o che non vorremmo fare.


La poetessa Ada Merini scriveva:

“Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri.“


Marco Aurelio sostiene che tutto ciò che viene da fuori non dovrebbe turbarci perché possiamo rifugiarci nella nostra cittadella interiore, e citando, forse, un altro autore scrive:

“Se ti addolori per una cosa esterna, non è questa cosa a turbarti, ma il tuo giudizio su di essa.”

(Marco Aurelio, Pensieri, VIII, 47)


Ha un bel dire Marco Aurelio, ma guardare dentro anziché fuori non è facile. A volte dico ai miei pazienti di fare finta di essere alla finestra e di distogliere lo sguardo da fuori per guardare dentro alla stanza.

“Va beh,” loro dicono “Questo si può fare”.
Ma costruire una cittadella interiore è un atto complicato, come si fa a costruirsi un posto solo per noi?
Il consiglio che ci da il nostro Imperatore filosofo è di rivolgersi alla scrittura che è, secondo lui, il modo per costruire un luogo in cui ritrovarci quando il mondo esterno o i disturbi della nostra mente ci confondono.
In realtà, se ci pensiamo bene la scrittura ci costringe a rimanere concentrati sul presente.
Intanto se non usiamo il computer c’è il nostro corpo che sta lì seduto ad una scrivania con i gomiti appoggiati al piano in legno, ci sono i nostri sensi; l’odore della stanza, della carta, il male alla schiena e la testa pesante.
Se con un atto di volontà iniziamo a scrivere, volenti o nolenti siamo concentrati e siamo obbligati a mettere in ordine il filo logico dei pensieri senza rimanere nel turbinio di ciò che abbiamo nella mente e nel cuore.
Forse ce ne vorrà del tempo per sentirci completamente isolati dal resto del mondo come nella canzone che urlava Vasco Rossi.

“Tu sola dentro alla stanza e tutto il mondo fuori.”


Ma intanto abbiamo interrotto il flusso dei pensieri, e ci fermiamo ancora quando dobbiamo scegliere le parole giuste per dirlo.
Per dire cosa?
Per dire quello che non siamo mai riusciti dire a nessuno.
Se continuiamo diamo delle priorità quando dobbiamo scegliere la maniera di descrivere una esperienza anziché un’altra, e così quasi senza accorgercene scegliamo ciò che è importante da ciò che non lo è, e nel lento gettar via alcuni fatti e recuperarne altri definiamo la forma dell’esperienza sino a che tutte le sollecitazioni e i pensieri arrivano a prendere la forma armonica di un intero.
Pierre Hadot nel suo libro definisce la scrittura un esercizio spirituale che dà interezza all’essere umano e a tutte le parti che lo compongono.
Allora forza! Scriviamo che la vita si fa più lieve.

Sincronicità

E’ tutto così semplice
Si, era così semplice
È tale l’evidenza
Che quasi non ci credo
A questo serve il corpo: Mi tocchi o non mi tocchi, Mi abbracci o mi allontani, Il resto è per i pazzi.

Patrizia Cavalli
Pigre divinità e pigra sorte

IL RESTO E’ PER I PAZZI

Sapete che cos’è un evento sincronico?
Un evento sincronico è quando un’immagine inconscia, diretta o indiretta, sotto forma di visione onirica, idea improvvisa o presentimento segue o avviene in concomitanza con un fatto oggettivo, che coincide significativamente con quel contenuto.
Al di là di questa teoria è vero che se si inceppa la fotocopiatrice mentre stiamo fotocopiando un testo importante o buchiamo una ruota in autostrada, abbiamo due possibilità, la prima è di accusare qualcuno, anche noi stessi, per trascuratezza e negligenza e quella è la teoria della causa e il suo effetto. La seconda è di cercare una interpretazione a quell’accadimento.
Questa seconda scelta, non so come la vogliamo chiamare, ci fa stare meglio e alla lunga permette ad eventi sincronici di far capolino nella nostra vita.

Eventi sincronici che andranno ad arricchire così la nostra vita interiore.
Però, non è così facile come sembra perché quando gli eventi ci sovrastano diciamo che la vita interiore è un lusso per chi ha tempo da perdere o per chi, invece, ama isolarsi dal mondo e non affrontare la vita reale.
Secondo questo pregiudizio gli uccelli, i fiori, gli alberi fanno solo perdere tempo a chi dovrebbe avere solo occhi per i fogli di calcolo.
Eppure in quei momenti dovremmo inspirare forte lasciar perdere l’Economia e credere nella nostra vita interiore.
Victor Frankl uno psichiatra austriaco che sopravvisse ad Auschwitz e a Dachau ha scritto un libro su quella esperienza. Il libro si intitola: Uno psicologo nei lager ed è un manuale che aiuta ad affrontare le sfide più buie della vita. Traendo insegnamento dalle strategie adottate dai prigionieri angosciati dalla disperazione e dalla perdita di senso che provavano in quei campi di prigionia. Ecco; se esistevano delle strategie efficaci in quei luoghi ce ne saranno di sicuro anche per noi che viviamo una vita bene o male: “normale” e a volte anche un po’ noiosa.
Una delle cose che Victor scoprì era che i prigionieri sviluppavano un particolare senso di connessione tra la loro vita interiore e il mondo naturale, e che la brutalità dell’esistenza quotidiana rendeva la capacità di interiorizzazione più intensa. I prigionieri che vivevano più a lungo erano quelli che facevano tesoro di quella intensità.
Nel suo libro racconta un evento sincronico: Frankl era stato separato dalla moglie Tilly e sapeva che non l’avrebbe mai più rivista, ricorda , però, che una mattina all’alba, sotto un cielo grigio si era perso nei ricordi della moglie. Provava una sensazione intensa come se lei fosse lì con lui, come se quasi potesse toccarla.
Nel momento in cui questa sensazione era al culmine dell’intensità, un uccello volò accanto lui, si posò a terra e lo guardò.
Forse tutto questo era solo, roba da pazzi.
Ma Victor Frankl sopravvisse grazie a questo.

Uno Psicologo nei Lager

Viktor E. Frankl

Hermes è il caffè sospeso

Se “si” volesse sempre dire “si” e “no” sempre “no” , non avremmo bisogno di Hermes e delle sue intuizioni, il messaggero degli dei ama l’ambivalenza e si contrappone agli dei razionali e potenti: Apollo e Zeus. Al contrario del dio dell’Olimpo lo spirito di Hermes non vuole chiarire ma preferisce ritrarsi e prendere la strada dell’ambiguità.
È il dio dei commerci, dei viaggi, dei confini, dei ladri, dell’eloquenza e delle discipline atletiche. Svolge anche la funzione di psicopompo, ovvero di colui che accompagna le anime dei defunti verso l’Ade. Figlio di Zeus e della Pleiade Maia, è uno dei dodici Olimpi. Lui il dio dal capello alato si pone in quelle zone di transizione dove è possibile una cosa ma è ugualmente fattibile anche il suo opposto, lui scioglie e annoda relazioni, è un mercante laddove il commercio è contrattazione e relazione, è un “briccone divino”.
La sua più eloquente rappresentazione è quella del busto a due facce, una rivolta verso la realtà umana e l’altra verso la divinità che simboleggia quindi il doppio significato di ogni realtà, il doppio senso di ogni parola.
Trovandosi sempre ai confini tra una cosa e il suo opposto lo troviamo nella medicina che si orienta verso l’unità tra corpo e psiche. Lo intravediamo in tutte quelle situazioni che mirano ad un cambiamento. Quindi, se vogliamo, è il dio della psicoanalisi, in quanto il movimento psichico è l’interesse principale di questa disciplina, cambiamento che avviene tollerando, proprio, l’ambivalenza..
La comunicazione sotto il segno di Hermes imbocca sentieri tortuosi, scorciatoie, vie parallele e quindi impedisce la stagnazione e induce al movimento e le sue vie sono infinite.

Ad appena un giorno d’età Hermes ruba la mandria di mucche del fratellastro Apollo e nega subito la sua impresa con una sfrontatezza senza limiti

Se vuoi, te lo giuro solennemente sulla testa di mio padre,
ti assicuro che non sono io il colpevole,
e che non ho visto nessuno rubare le tue vacche,
quali che siano; ne sento parlare solo adesso.
Così disse; e le sue palpebre lampeggiavano:
saettava occhiate dalle ciglia, in tutte le direzioni;
poi fischiò forte, sentendo che non era creduto.

Apollo non è stupido ma è impressionato dall’audacia del neonato. Porta il caso davanti al padre Zeus e Hermes riafferma la sua menzogna con una enfasi e una sfrontatezza senza uguali.

Padre Zeus, sii certo che ti dirò la verità:
Sono sincero infatti e incapace di mentire.
Credimi, visto che ti vanti di essere mio padre:
Non ho portato a casa le vacche-così-possa aver fortuna-;
Non ho neanche oltrepassato la soglia:è la pura verità.
Così disse Hermes, ammiccando.
Rise forte Zeus, vedendo con quanta scaltrezza negava il furto delle vacche quel suo malizioso figliolo.
Ordinò poi che di comune accordo tutti e due si mettessero alla ricerca, e che facesse da guida Hermes, il messaggero,
E indicasse senza più trucchi luogo
Dove aveva nascosto le vacche dalla testa robusta.

Si, è vero Hermes è un birbante e mente, ma grazie alle sue capacità dialettiche e alla sua seduzione si guadagna un posto tra gli dei dell’Olimpo. Questo, era, appunto il suo scopo e lo ottiene attraverso la comunicazione che solo lui: il briccone divino, riesce ad instaurare.
Con un piede sulla soglia, né dentro né fuori seduce, e finisce per farsi concedere da Zeus ed Apollo, che ha ingannato, un’attenzione affettuosa e un posto nell’Olimpo
Come ogni briccone divino Hermes vive fuori dai limiti stabiliti dai costumi e dalle leggi il suo è un regno intermedio ai limiti stabiliti della proprietà dove le parole “trovare” e “rubare” hanno un senso ambivalente e ricco di sfumature.
La demarcazione netta tra commerciare e rubare tra proprietà ben definite preoccupa gli dei della ragione Apollo e Zeus ma non Hermes.
Lo troviamo sempre in ogni luogo e in ogni tempo: Fanfan la Tulipe, Till Eulenspiegel ma soprattutto in Robin Hood.
Robin Hood non era forse nelle precedenti leggende un dio delle foreste? In seguito poi da nobile sassone decaduto è diventato bandito. Un generoso giustiziere abilissimo nell’uso dell’arco, che rubava ai ricchi per dare ai poveri e che restituiva ai cittadini le ingenti tasse raccolte dallo Sceriffo di Nottingham.
I greci usavano un trucco comunicativo simile che consisteva nello stabilire una forma di “commercio silenzioso” e generoso più simile allo scambio.
Ad esempio, un contadino che viveva nelle vicinanze di una strada frequentata da viaggiatori deponeva a un incrocio del pane, dell’acqua e i formaggi. E il viaggiatore affamato che se ne nutriva lasciava un regalo in cambio di ciò che aveva consumato; monetine o qualsiasi altro oggetto di scambio, oppure nulla se non possedeva nulla.
Un oggetto trovato in questo modo i greci lo chiamavano “Un dono di Hermes” ed era un regalo donato senza sapere a chi sarebbe stato utile e non aspettandosi nulla in cambio.
Ancora adesso il dio ci sorride benevolo se lasciamo un caffè sospeso al bar per una persona che berrà il nostro caffè o una spesa sospesa appesa al cancello di in un parco per qualcuno che non se la può permettere.
Si, è vero che Hermes è un commerciante è però un commerciante vecchio stile, quello che scambia un manufatto con un pezzo di formaggio non quello che si arricchisce in Borsa. Non è neanche detto che Hermes sia contrario al gioco in Borsa, ma il dio non dimentica l’aspetto ludico e la passione del giocare.
Hermes è il potere dell’humor e del ridicolo di fronte alla forza bruta, la riparazione del clown in contrapposizione al leader, il ricorso alla fuga e alla menzogna per sfuggire al controllo, l’arte della parola nella trattativa.
In questo senso è un dio molto attuale perché ci permette di guardare al futuro ricordandoci del passato, quando scambiare e donare non erano così in contrapposizione.