Scrivi che ti passa

Pierre Hadot nel libro: Introduzione ai «Pensieri» di Marco Aurelio dice che l’Imperatore definisce “cittadella interiore” quel centro della nostra interiorità che non viene scalfito da nessuna delle cose che stanno fuori.
Eh si; se ci pensate bene, tutto ciò che ci turba arriva da fuori.
La collega critica, il capo guarda con tono di rimprovero, il nostro ragazzo ha scritto un whatsapp che lascia intendere uno scarso interesse nei nostri confronti, i nostri genitori ci vorrebbe diversi, la società vorrebbe che avessimo già fatto cose che non abbiamo ancora fatto o che non vorremmo fare.


La poetessa Ada Merini scriveva:

“Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri.“


Marco Aurelio sostiene che tutto ciò che viene da fuori non dovrebbe turbarci perché possiamo rifugiarci nella nostra cittadella interiore, e citando, forse, un altro autore scrive:

“Se ti addolori per una cosa esterna, non è questa cosa a turbarti, ma il tuo giudizio su di essa.”

(Marco Aurelio, Pensieri, VIII, 47)


Ha un bel dire Marco Aurelio, ma guardare dentro anziché fuori non è facile. A volte dico ai miei pazienti di fare finta di essere alla finestra e di distogliere lo sguardo da fuori per guardare dentro alla stanza.

“Va beh,” loro dicono “Questo si può fare”.
Ma costruire una cittadella interiore è un atto complicato, come si fa a costruirsi un posto solo per noi?
Il consiglio che ci da il nostro Imperatore filosofo è di rivolgersi alla scrittura che è, secondo lui, il modo per costruire un luogo in cui ritrovarci quando il mondo esterno o i disturbi della nostra mente ci confondono.
In realtà, se ci pensiamo bene la scrittura ci costringe a rimanere concentrati sul presente.
Intanto se non usiamo il computer c’è il nostro corpo che sta lì seduto ad una scrivania con i gomiti appoggiati al piano in legno, ci sono i nostri sensi; l’odore della stanza, della carta, il male alla schiena e la testa pesante.
Se con un atto di volontà iniziamo a scrivere, volenti o nolenti siamo concentrati e siamo obbligati a mettere in ordine il filo logico dei pensieri senza rimanere nel turbinio di ciò che abbiamo nella mente e nel cuore.
Forse ce ne vorrà del tempo per sentirci completamente isolati dal resto del mondo come nella canzone che urlava Vasco Rossi.

“Tu sola dentro alla stanza e tutto il mondo fuori.”


Ma intanto abbiamo interrotto il flusso dei pensieri, e ci fermiamo ancora quando dobbiamo scegliere le parole giuste per dirlo.
Per dire cosa?
Per dire quello che non siamo mai riusciti dire a nessuno.
Se continuiamo diamo delle priorità quando dobbiamo scegliere la maniera di descrivere una esperienza anziché un’altra, e così quasi senza accorgercene scegliamo ciò che è importante da ciò che non lo è, e nel lento gettar via alcuni fatti e recuperarne altri definiamo la forma dell’esperienza sino a che tutte le sollecitazioni e i pensieri arrivano a prendere la forma armonica di un intero.
Pierre Hadot nel suo libro definisce la scrittura un esercizio spirituale che dà interezza all’essere umano e a tutte le parti che lo compongono.
Allora forza! Scriviamo che la vita si fa più lieve.

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