Figli narcisisti? Parliamone

Se si cerca in rete “ figlio o figlia narcisista” non si trova nulla o meglio si trova solo e soltanto una donna colpevole di aver educato un egocentrico.
Nessuna traccia di quella stessa madre spesso fagocitata da un figlio con pretese senza senso o stritolata da obblighi morali. Possibile che nessuna abbia mai denunciato il problema di avere un figlio narcisista?

Nessuna donna ha mai cercato il sostegno di altre donne quando la figlia le urla il suo odio, o il figlio si scorda di lei il giorno di Natale?
Ci sono gli amanti narcisisti, mariti narcisisti, sorelle narcisiste e poi tante, tantissime madri narcisistiche colpevoli di aver educato una figlia tutta presa da se stessa o un figlio incapace di avere relazioni.

Eh si, di narcisisti ce ne sono tanti. E allora, cos’è una catena infinita di donne colpevoli?
Ma può esistere un figlio narcisista che non sia opera di una madre abbandonica o narcisista a sua volta?

Beh! francamente credo di si, e spesso queste donne trovano solo articoli, blog, addirittura siti che la ritengono colpevole senza appello.
Esiste persino un libro che si intitola La madre narcisista che scrive:

Ti senti come se fossi maledetta perché tutte le tue relazioni semplicemente non funzionano?
Trovi difficile dire no perché hai paura de rifiuto?
Ti senti vuota o indegna d’amore?

E’ ora di parlare di tua madre
Di tua madre? E il padre dov’era? La società dov’era? La scuola dov’era?
“I tuoi figli non sono figli tuoi, sono figli e le figlie della vita stessa. Tu li metti al mondo, ma non li crei. Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.”

Recita Khalil Gibran.

Naturalmente la poesia vuole liberare i figli dal giogo genitoriale ma intanto ci ricorda che i figli non sono nostri ma sono figli del mondo.
Però quando le cose vanno storte sono figli della madre?

Ma se le donne non sono libere perché strette in un mito così ingombrante potranno mai insegnare la libertà ai figli?
E poi comunque siamo proprio sicuri che sono gli altri a formare il carattere quando siamo cuccioli?
Hillman sostiene:

Se esiste nella nostra civiltà una fantasia radicata e incrollabile, è quella secondo la quale ciascuno di noi è figlio dei propri genitori e il comportamento di nostra madre e di nostro padre è lo strumento primo del nostro destino. Così come abbiamo i loro cromosomi, allo stesso modo i loro grovigli e i loro atteggiamenti sono gli stessi nostri. La loro psiche inconscia – le collere rimosse, i desideri irrealizzati, le immagini che sogna no la notte – conforma congiuntamente la nostra anima e noi non riusciremo mai e poi mai a venire a capo di questo determinismo e a liberarcene. L’anima individuale continua a essere immaginata biologicamente come un frutto dell’albero genealogico.

Il codice dell’anima. Hillman, James.

Tutto ciò non vi appare claustrofobico? Non solo per noi ma anche per i nostri figli aggrovigliati a questo cordone ombelicale che li tira dentro all’ elica del DNA sino a strozzarli.

Sempre Hillan:

Da qualche parte, tuttavia, un folletto continua a sussurrare un’altra storia: «Tu sei diverso; non assomigli a nessuno della famiglia; tu non sei dei loro». Nel cuore si annida un eretico, che chiama la famiglia una fantasia, una superstizione.

La famiglia come una superstizione? Sembra intollerabile.

Ma nonostante nuove scienze escono da questa semplificazione della condizione di genitore, i riformatori morali e certi psicoterapeuti parlano ancora di «cattiva madre» e a volte ma non sempre di «padre assente».

Io credo che siano le storie che possono liberarci dalle credenze e quindi ve ne racconto due che a distanza di secoli si parlano e si guariscono a vicenda.

Johanna Schopenhauer, fù madre del filosofo Arthur Schopenhauer, nacque a Danzica, all’epoca nel Regno di Polonia. Ella scrisse un’ autobiografia dove l’argomento principale era il suo intricato rapporto con il figlio.

Joanna fu una ragazza precoce, prima dei dieci anni sapeva già il polacco, il francese e l’inglese, ed ebbe sin da bambina una grande passione per l’arte.

A 18 anni sposò Heinrich Floris Schopenhauer, un ricco mercante di vent’anni più anziano di lei e da quel matrimonio ebbe due figli Arthur e Adele.

Un anno dopo la morte del marito nel 1805, Johanna si spostò con la figlia a Weimar, città dove non aveva né amici né parenti e che era provata dall’invasione delle truppe di Napoleone.

Malgrado il rischio di guerra imminente, Johanna si rifiutò di lasciare la città, impegnandosi a favore dei bisognosi, assistendo

i soldati tedeschi e dando asilo ai cittadini meno fortunati le cui case erano state sequestrate dai francesi invasori.

Il figlio Arthur non la seguì ma rimase ad Amburgo dove, anziché intraprendere la professione del padre, decise di studiare filosofia.

Dopo la guerra Johanna divenne una salonnière e per anni accolse in casa sua eminenti personalità e celebrità della città.

Il rapporto tra Johanna e Arthur non fu idilliaco: nelle lettere scritte a Schopenhauer, Johanna lasciava chiaramente trasparire la sua personale opposizione al pessimismo ed all’arroganza del figlio e delle sue tesi filosofiche.

Quando, nel 1809, Schopenhauer decise infine di trasferirsi anch’egli a Weimar, decise di non vivere sotto il tetto della madre.

Dopo il 1814, madre e figlio non si rividero mai più, scrivendosi unicamente via lettera, ma anche queste si interruppero dopo che Johanna ebbe l’occasione di leggere una lettera scritta da Arthur a sua sorella Adele, nella quale accusava la madre della morte del padre, mentre lei si dedicava stoltamente a feste e lui soffriva, malato ed abbandonato, lasciato alle cure dei suoi fedeli servitori di casa.

La corrispondenza tra madre e figlio riprese solo nel 1831 e fu Arthur a fare il primo passo, motivato, apparentemente, da difficoltà economiche.

La corrispondenza continuò sporadicamente sino alla morte di Johanna nel 1838.

Malgrado i toni cordiali di quest’ultima corrispondenza tra Johanna ed Arthur, quest’ultimo continuò a denigrarla anche dopo la morte, definendola una accentratrice.

Da parte sua, nel suo testamento, Johanna diseredò Arthur.

Nel libro dal titolo La cura Shopenauer lo psicoanalista Irvin Yalom racconta che uno psicoterapeuta coinvolge in una terapia di gruppo Philip un filosofo arrogante, sessuomane e narcisista e la situazione degenera ad un tale livello che lo psicoterapeuta affronta il trattamento di Philip ricorrendo al pensatore che l’arrogante filosofo considera il suo guru personale, il suo alter ego: Arthur Schopenhauer.

La “cura Schopenhauer” inizierà a mostrare i suoi effetti etc etc.

L’importante per noi, però, è notare come cercando in letteratura si possa trovare esempi di madri pressoché buone che hanno figli narcisi e di psicoanalisti contemporanei che non scagliano la “Colpa” sulla madre.

Nei testi di Irvin Yalom non compare mai il travagliato rapporto che il giovane Philip alter ego di Schopenhauer deve aver avuto con la madre o se compare non è in forma di denuncia ma di comprensione.

Ma nella semplificazione della rete invece cosa succede? La madre è sempre la responsabile e se esiste un figlio o una figlia narcisista di sicuro lei è la colpevole.

Prova ne è che, come dicevo sopra, in nessun blog, in nessuna chat, in nessun forum troviamo una donna che si sfoga affrontando questo tema.

Le madri colpevoli di un figlio narcisista tacciono. L’accusa è troppo forte, meglio rinchiudersi nel proprio guscio, meglio non cercare compagne o amiche perché la società ci mette alla gogna e una donna che si macchia di tale empietà deve solo tacere.

Ma come disse il matematico Godfrey Hardy, «una persona seria non sta a perdere tempo nel formulare l’opinione della maggioranza».

Quindi andiamo avanti e ascoltiamo pensatori più evoluti.

Hillman ci propone una lettura del problema più antica ma non per questo meno attuale: la teoria della ghianda.

E stato il mio daimon a scegliere sia l’ovulo sia lo spermatozoo, così come aveva scelto i portatori, detti «genitori».
La loro unione deriva dalla mia necessità, non il contrario.”
Per Hillman il Daimon è il carattere del bambino che secondo la leggenda antica prenota in anticipo la madre che deve metterlo al mondo, forse addirittura la predetermina, o almeno così sostiene la teoria della ghianda.

Questo non aiuta a spiegare i fratelli completamente diversi l’uno dall’altro? Figli musicisti da genitori con tutt’altra professione, figli laureati con fratelli con solo la scuola dell’obbligo.

D’altra parte anche Johanna Schopenhauer aveva due figli: Adele e Arthur. La figlia di Johanna è stata vicino alla madre sino alla morte mentre il figlio l’ha ripudiata adducendo stupide scuse.

La teoria della ghianda, del Daimon e del carattere è stata formulata nella Grecia antica, in tempi in cui non tenevamo il mondo sotto controllo.
Oggi ci pare di dominarlo il modo ed è difficile accettare il mito della ghianda, il quale avviene prima del concepimento, in un tratto di tempo che non possiamo controllare.

E’ molto più facile attribuire la colpa ad un solo essere così psicoterapeuti cognitivo comportamentali, assistenti sociali, rigidi moralisti possono controllare sia la donna sia il bimbo.

Il mito della madre è una narrazione come tante altre, nata forse per controllare il femminile.

Sottolineata dal cattolicesimo con la figura della Madonna, madre vergine, santa e pura, un’atra storia bellissima ma sempre mitologica.

Però se nella nostra società possiamo accettare così facilmente il mito della Madre, perché non dovremmo, accettare il mito della ghianda?
A farci arricciare il naso di fronte alla teoria della ghianda non può essere la resistenza ai miti, visto che ci beviamo senza fiatare il mito della Madre.

Tutto cambia: genere fluido, economia, definizioni giuridiche di maternità e paternità, concepimento, adozioni, medicine, diagnosi, libri sull’educazione dei bambini.
La fisica quantistica sta cambiando anche il mito scientifico della causa ed effetto: ad un certo fenomeno non segue più una determinata conseguenza ma un’onda vibrazione indurrà il cambiamento e laddove non esiste una causa non esiste neanche una madre colpevole.

Soltanto il mito della madre come elemento dominante nella vita di ciascuno non cambia ma e il pregiudizio della colpa della madre resta scolpito nella roccia e quindi se un figlio o una figlia sono narcisisti la colpa è della madre.

La società e i padri tacciono abbassando la testa mitizzando la maternità per poterla meglio colpevolizzare.

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