Psiche in viaggio

La psicoterapia, la psicologia, la psicoanalisi odorano di malattia, di disagio di attacchi di panico o di depressione. Non a caso, almeno in Italia l’Ordine degli Psicologi è inquadrato nel Ministero della Salute.

Ma è veramente così? Queste discipline curano chi è malato e lo aiutano ad inserirsi meglio nella società? Ma se la società è malata perché l’individuo dovrebbe ritrovare la salute per reinserirsi in essa?

Beh si, direi che ci sarebbe da grattarsi il capo, un poco perplessi.

Purtroppo non ho strumenti per rispondere a questa domanda e  quando non capisco mi affido ai poeti.  In questo caso cito Montale:

“Non domandarci la formula che mondo possa aprirti.”

I poeti, non ci forniscono mai risposte ma ci aiutano a pensare. Quindi riflettiamo e proseguiamo. Volevo, infatti,  parlavi della psicoanalisi itinerante e della sua utilità in viaggio. Nel mio lavoro con gli italiani nel mondo, molti “vagabondi” si sono rivolti a me attratti dalla possibilità di poter fare una terapia on line senza interrompere l’analisi durante i loro spostamenti. Tutto è andato sempre per il meglio; qualche volta abbiamo parlato in un Van nel deserto, qualche altra in una piazza newyorkese con una fontana e un grattacielo alle spalle. A volte abbiamo dovuto rimandare, in qualche ostello non c’era il wifi, oppure in qualche località in Nepal non c’era campo. Ma voi vi chiederete: perché mai qualcuno che compie una impresa così ambita da tutti dovrebbe rivolgersi ad una psicologa? Il viaggio è libertà e gioia perché mai un viaggiatore  dovrebbe aver bisogno di aiuto?

Embè vi svelo un segreto; viaggiare allarga i confini  ma è una delle esperienze più dolorose che esistano.

Intanto, se viaggiamo col cuore e con piedi e non su pullman con l’aria condizionata, entriamo in contatto con la povertà e questo ci fa avvertire l’ingiustizia del mondo: ed è dolore. Inoltre, lungo la strada incontriamo altri viandanti come noi con cui facciamo un pezzo di strada insieme. Un pezzo di cammino solo, però, perché in un certo giorno, davanti ad un rosso tramonto, i nostri sentieri si divideranno e dovremo separarci. Questi incontri sebbene forieri di nuove emozioni danno luogo ad uno dei dolori più intensi per l’essere umano: la separazione . Chi ha fatto un percorso insieme a noi se ne va e un pezzo di strada è finito e nonostante i whats app e  i Facebook con buona probabilità non lo rivedremo mai più. Questi incontri, ovviamente, non sono solo lacerazione, a saperli cogliere sono anche segni sul nostro cammino, ma sopraffatti dal dolore in genere non li vediamo.

Barbara Hannah nel suo libro Vita e Opere di C.G. Jung scrive:

Jung si trovava sulla riva di un fiume, lo sguardo volto alle montagne che si levavano per quasi duemila metri al di sopra dell’altopiano. E all’improvviso, un vecchio indiano si era letteralmente materializzato in assoluto silenzio accanto a lui, chiedendogli con voce profonda e vibrante di emozione: “ Non credi che tutta la vita provenga dalla montagna?” Jung rispose: “E’ evidente a chiunque che tu dici la verità.”

Fu uno di quei brevissimi incontri di Jung con persone che sembravano sfiorarne la vita, appena il tempo di trasmettergli un messaggio. In più, direi che chi viaggia è in genere un’anima inquieta che sta cercando qualcosa e non sa cosa sta cercando, ma come l’ubriaco che cerca la chiave sotto al lampione sbaglia il posto della ricerca. E’ nel buio che deve cercare: negli angoli più scuri della sua interiorità. Ed è in questo senso che la psicoanalisi senza essere “cura” può aiutare molto. Essa ci aiuta nel far risuonare dentro ciò che vediamo con gli occhi e a riconoscerci abitanti non solo del nostro paesello ma abitanti del mondo. I bimbi che giocano con una palla di stracci siamo noi, che nell’ingenuità dell’infanzia sapevamo giocare con ogni oggetto che trovavamo. Ma come riconoscerlo se la nostra infanzia l’abbiamo dimenticata?

I popoli che guardano al sole come al loro unico dio assomigliano a noi quando scrutiamo il cielo cercando delle risposte? Ma come vedere il cielo quando siamo illuminati da luci artificiali? Il corpo che brucia su una pira nelle acque del Gange ci fa comprendere un altro modo di celebrare la morte, laddove nella moltitudine tu te ne vai perché altri tornino a vivere. Ma come fare a percepirlo quando la morte è un tabù segregato in un ospedale. Certi paesaggi in Argentina e in Sudafrica ricordano il mondo prima che gli uomini vi costruissero grattacieli e superstrade. Ma come vederli se abbiamo occhi solo per il nostro comfort?

In un mio trekking  in Patagonia,  durante un cammino scosceso e difficile, stanca, affamata e con un paio di scarpe inadatte mi sono voltata indietro e ogni disagio è sparito; ero in un paesaggio precedente alla venuta dell’uomo, era il mondo così come è sempre stato nella quiete dell’eterno inizio.

Là in quelle distese primordiali  mi sono sentita radicata, non alla mia città, alla mia lingua e al mio cibo, ma al mondo.

Questo che descrivo è stato un’attimo, un barlume di luce mentre spesso, invece, il nostro punto di vista ci inganna, guardiamo con occhi disattenti e usiamo la testa anziché il cuore.

Sempre Barbara Hannah scrive di un dialogo che  Jung tenne con il capo dei Taos Pueblos:

Il capo, che si chiamava Ochwiay Biano, che significa “Lago Montano”, aveva un atteggiamento fortemente critico nei confronti dei Bianchi, e Jung restò sbalordito udendolo affermare che gli indiani ritengono gli americani pazzi perché pensano nelle loro teste. Jung chiese dove avesse sede il pensiero degli indiani, e la risposta fu: “Nel cuore”

E’ il cuore e non la testa che ci aiuta a riportare dentro ciò che vediamo fuori, che ci aiuta a sopportare la separazione e a dargli un senso. E’ sempre lui  che ci fa a scoprire che la nostra inquietudine è un sentimento comune a tutti gli esseri umani. Quando in una bar dalle zozze tovaglie di plastica, ci sentiamo soli e persi e con lo sguardo vuoto guardiamo ad un vecchio poster della Coca Cola, è solo il senso del viaggio che ci fa rialzare da quella sedia e riprendere il cammino. 

E il senso lo troviamo nel cuore e in tutti quei frammenti di vita che hanno costruito il nostro viaggio. Consapevoli che  il viaggio fuori non è l’unico viaggio, c’è un altro viaggio che lo deve affiancare ed è il viaggio interiore.

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