C’ho il panico

“Socrate: O caro Pan, e voi altredivinità di questo luogo, datemila bellezza interiore dell’anima e,quanto all’esterno, che esso s’accordicon ciò che è nel mio interno.”

Platone, Fedro

La folla silenziosa che affollava la banchina della metropolitana ondeggiò verso la galleria di destra e poi verso la galleria di sinistra, guardai la punta della mia scarpa che toccava la linea gialla.
Il tabellone luminoso indicava che tra un minuto il treno diretto a Abbiategrasso sarebbe arrivato.
Nell’attesa il mio sguardo si posò su un cartellone pubblicitario scrostato. In origine, forse, era la pubblicità di cibo per animali ma ora al posto del cane e della sua ciotola c’era una macchia di carta bianca e sfaldata.
Tornai a guardare la folla e ad un tratto e apparentemente senza motivo il mio cuore iniziò a pompare sangue alla testa, le mani incominciarono a sudare, le gambe a tremare da ferme e lo stomaco si incendiò.
I peli e i capelli ritti folgorarono il mio cuoio capelluto e mi fecero immaginare di essere gonfiato dall’aria come un gatto.
Il mondo fuori sparì e avrei potuto percepire un granello di polvere sfiorarmi la pelle.
Avevo l’impressione che tutti mi potessero vedere.
Mi acquattai e pensai che sarei potuto morire.
Faticavo a regolarizzare il respiro e l’ossigeno bruciava nella mia laringe come un elemento non utile alla vita.
Tutto mi girava intorno.
Cercando un punto fermo lo sguardo si fermò sulle piastrelle bianche del muro della metropolitana. Sulla panchina vi era seduta una signora anziana con il suo cane. Il suo cappotto giallo canarino mi parve che si facesse materia e picchiò sul mio stomaco come un pugno violento. Mi sembrò di andare in mille pezzi, di perdere la mia mente in tanti frammenti che si allontanavano velocemente perdendo la memoria della forma.
“Tranquillo. Stai morendo..” pensai rincuorandomi.
“Sto impazzendo…” constatai angosciato, immobile e senza controllo.
Questa è la descrizione fatta da un mio paziente, colpito da un attacco di panico, un paio di anni fa. La descrizione è comunque attuale; lavorando con gli expat questo racconto l’ho sentito ovunque; in Australia, in America, a Dubai come a Tel Aviv e l’ho ascoltato anche nella piccola città in riva al mare dove vivo; Rapallo.
C’è da dire che io ritengo che non vi sia una grande differenza tra ansia e attacco di panico.
Nel panico i sintomi sono più intensi e, a volte con durata minore caratterizzati soprattutto da paura di morire o di impazzire; ma in realtà l’attacco di panico è un attacco d’ansia e sostanzialmente entrambi sono la paura di aver paura.
Ovvero sia sono semplicemente figli della paura della vita, meravigliosa sotto certi aspetti ma foriera di orrori, ingiustizie e tragedie.


Ma cosa è la paura e a cosa serve?
La paura deriva dal verbo “pavire” ossia tastare il terreno ed è uno strumento per prevedere e sondare ciò che potrebbe accaderci. E’ un sistema di preveggenza, un modo per leggere nel pensiero e poter evitare situazioni pericolose.
Una intuizione che ci aiuta a superare o evitare il dolore.
Quindi questa paura è naturale e forse non andrebbe eliminata?
Direi di no, infatti, sebbene il desiderio di non provare più simili paralizzanti paure sia forte la paura andrebbe integrata come strumento di crescita e di vita.


L’ansia ci era assai utile quando correvamo nudi nella savana e un brivido ci alzava i peli delle braccia facendoci intuire che quel muoversi di foglie o quell’improvviso silenzio preannunciavano l’arrivo di un predatore o che quell’odore ci indicava la presenza di piccoli animali da mangiare.
Com’è che tutti i vantaggi dell’ansia che ci erano così utili quando eravamo nella savana ora sono diventati invalidanti?
Intanto, da un paio di secoli non viviamo più alla giornata ma programmiamo; oggi, domani tra un anno tra un decennio, il piano quinquennale e quello decennale
Ognuno di noi se si sofferma a contemplare il futuro, a immaginare cosa accadrà il giorno seguente proverà una certa ansia. A meno che non ci si trovi in un periodo di innamoramento, pensare al futuro è andare nei territori dell’ansia o del suo cugino il panico. Riuscirò a fare il mio lavoro? Mio figlio supererà l’interrogazione? Mi arriverà una multa? Nei soggetti ansiosi, purtroppo, il presente risulta essere molto poco presente.


Inoltre nella savana correvamo nudi cioè privi di difese e protezioni; e ogni nostra emozione poteva essere immediatamente espressa, senza differirla ad un altro momento e ogni nostro istinto poteva essere soddisfatto senza troppi divieti morali.
Oggi, i nostri istinti si sono giustamente piegati alle esigenze del collettivo e non viviamo più le emozioni nel momento in cui emergono.
La società si evolve verso un equilibrio fondato sul post-datare istinto ed emozioni mentre il comportamento istintuale è caratterizzato in misura preminente dalla coazione, da quella che è stata chiamata la “reazione del tutto o nulla”.
Quindi per non rivelare ciò che noi riteniamo vulnerabile e inadeguato, reprimiamo le nostre emozioni per poi farci i conti in momenti altri e sempre più spesso, in modo del tutto casuale.
Così l’angoscia per un lutto può presentarsi anni dopo la perdita e risultare incomprensibile e priva di senso e una emozione senza senso genera paura e panico.
Ho constatato nel mio lavoro che cercare di dare un senso all’esperienza di panico è un passo fondamentale per evitare quel profondo stato di scoraggiamento, incertezza e allerta che l’individuo sperimenta nella paura di avere un ulteriore attacco.
C’è un dio della mitologia greca che aveva le gambe caprine e il corpo umano, un dio che correva nelle selve e spaventava le ninfe che si lavavano nei ruscelli, e lo faceva tirando fuori urla che impaurivano lui stesso.


Questo Dio si chiamava Pan.
Il racconto che ci viene dato nell’Inno Omerico mostrava Pan abbandonato alla nascita da sua madre, una ninfa dei boschi, ma avvolto da suo padre Ermes in una pelle di lepre e portato sull’Olimpo dove venne accolto da tutti gli dei con gioia.
Il nome Pan sembra derivare dal greco “paein” (pascolare): in Grecia la sua provenienza era l’Arcadia, dove possedeva le greggi che pascolava, essendo un dio vagabondo senza una dimora specifica. Pertanto Pan è un dio dei campi, delle selve e dei pascoli (specialmente nell’ora meridiana), e più in generale della pastorizia.
Un altro significato di “pan” è “tutto”, letteralmente perché secondo il mito greco Pan era lo spirito di tutte le creature naturali, e questa accezione lo lega alla foresta, all’abisso, al profondo, quindi anche alle grotte, alle cime dei monti ed alle balze montane; è in definitiva il dio dell’origine della vita e della vita stessa, secondo le teorie degli stoici che ne fecero l’incarnazione della vita universale.
Pan è, anche il dio della paura, del panico, dell’incubo, ci possiede durante quelle esperienze estremamente perturbanti di perdita del senso cosciente di sé. Quando irrompe nel campo psichico lo fa con forza inusitata, battendo lo zoccolo con veemenza al ritmo sfrenato del suo flauto. Il panico che ci provoca è incontrollabile e perturbante proprio perché erompe dai nostri meccanismi vitali più umani; l’attacco e la fuga dal pericolo in agguato (sia esso esterno o interno).


Il richiamo di Pan è totalizzante (pan, dal greco “di tutte le cose”) perché è il richiamo della Natura: è un senso globale di richiamo della naturalità, dell’essere umano nella sua accezione più biologica. È la vita (biòs) che entra a gamba tesa nella mente (psyche), per richiamarla dal suo ragionare, dal suo pensare, dal suo costante tentativo paranoico di comprendere e dominare le cose.
Scrive Hillman:


Infatti se Pan è il Dio della natura “dentro di noi”, allora egli è il nostro istinto.

Saggio su Pan. James Hillman.


Se, quindi, il Dio Pan è l’incontro con l’animalesco, con l’istintivo e ci possiede in forma di attacco di panico, allora questa intensa paura della paura  ci impone di prestare attenzione a bisogni e istinti inascoltati, e di non fuggire di fronte a lei.
Infatti, il panico ha un valore adattivo ci può segnalare situazioni interne pericolose ma nel contempo stesso ci allerta rispetto a situazioni esterne altrettanto pericolose.
Pan è ciò che di spaventoso esiste in natura che porta però con sè esperienze come il presentimento, l’intuizione, il sentimento misterioso e persino la profezia.
E’ soltanto penetrando più a fondo nella natura di Pan che potremmo comprendere meglio queste manifestazioni che sembrano voler restare disconosciute ed evanescenti, mezze burle e mezze verità, e in pari tempo strettamente legate a forti emozioni.
Tremiamo accasciati ad un muro quando ci coglie un attacco di panico ma non dobbiamo dimenticare che tutta quella tempesta di emozioni ci facevano i conti tutti i giorni i nostri antenati e quell’irrompere di i livelli istintualità metteva in atto eventi sincronici, intuizioni etc…
Farmaci e approcci cognitivi lasciano Pan fuori dalla porta e lui resta acquattato in fondo alla nostra psiche pronto a balzar fuori per un nonnulla.
Ma si sa che le grandi rivoluzioni sono sempre la conseguenza delle grandi repressioni e quindi ascoltiamo quello che ha da dirci questo Dio e se è il caso torniamo a farlo vivere e non accontentiamoci di questi episodi rapidi, voraci e devastanti.

Vaso raffigurante il mito di Pan e Siringa

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