Depressione: Beatrice e la nike

 

Fuori fa freddo, è un giorno d’inverno sospeso nella nebbia, un attimo prima che le luci di natale incomincino ad illuminare la città.
Beatrice viene da me perché lamenta ansia, mancanza di energia e di benessere, accusa un calo vitale, sensi di colpa, svalutazione.
Ma ciò che l’ha condotta a sedersi lì è il fatto che si è appena sposata e non sembra provare amore, per lei questo “freddo dentro” è il peso più difficile da portare.
Fantastica di grandi storie d’amore, di forti passioni, ma con il marito una tiepida prima notte di nozze dove non sono riusciti neanche a far l’amore.

Hillman descrive molto bene la depressione “le caratteristiche della depressione costringono all’interiorizzazione: movimenti attuiti, testa pesante e occhi bassi; lentezza nel parlare; scarsa energia; poca concentrazione e incapacità di prendere decisioni e di agire; colpevolezza e fissazione sul passato; vergogna e senso di colpa; lievi, persistenti disturbi fisici; costipazione e cefalea; pensieri di morte, abbandono e miseria; pessimismo e paura del futuro; generale avversione per il mondo circostante e sopra ogni cosa un sottofondo di tristezza:

“Quando alla sera si fa buio e io sono lì in cucina, la cucina d’acciaio illuminata da una luce fredda riflette il mio viso, e mi sento terribilmente angosciata”

“Mi sento estranea al mondo, incapace di continuare a vivere e incapace di morire”

“Alla domenica sera, soprattutto, mi sento particolarmente male, ho come la sensazione che tutti stiano tornando da giornate felici e intense, solo per me la domenica è passata, lasciando un grande vuoto”

In questo periodo Beatrice sogna di essere in macchina:

“Avevo lo specchietto retrovisore appannato e mi rendevo conto che non potevo più andare avanti senza riuscire a vedere dietro”

Beatrice ha 30 anni, ha vissuto sempre sola con la mamma, perché il papà morì quando lei aveva quattro anni.
Il padre fu colpito da un attacco cardiaco, un giorno d’inverno, poco prima di natale.
Bea, così la chiamano in casa, si è sempre sentita infelice e brutta e sempre paragonata ad una cugina di nome Angelica

“Angelica, sì che aveva tutto”

Del padre non ricorda nulla e raramente mi parla di lui, non sembra neanche averne sentito la mancanza.

Lentamente, sentendosi ascoltata Beatrice incomincia ad elaborare la perdita del padre senza esserne avvolta e travolta.
Riesce, con fatica, a ricostruire cosa avvenne quel giorno.

“Ero piccola forse tra le braccia della mamma.
Faceva freddo e c’era un albero diverso da quelli che già conoscevo.
Era, ne sono certa, un salice piangente, qualcuno ci chiamò…”

“Ecco io non ricordo più nulla, ricordo solo una bella casa di montagna, forse mi mandarono là per allontanarmi da mamma, mamma non voleva vedere nessuno”

” Mi hanno raccontato poi che si è chiusa in una stanza e da lì non è più uscita per settimane…”

“Papà era alto, molto alto.
Mi ricordo di avevo pensato che non poteva essere sparito in un sol giorno un uomo così grosso”

Molte volte le persone che sono colpite da una prova dolorosa, tendono a tenere in sè la loro tristezza, in realtà i contenuti psichici trattenuti senza la piena consapevolezza ingigantiscono nell’animo dell’individuo e generano angoscia.

“Ho fatto un sogno buffo, che non vuol dir niente; ho sognato un paio di scarpe da tennis su un tavolo da cucina di marmo bianco, le scarpe erano delle nike”

“E il tavolo che cosa le ricorda?” le chiedo io.

“I marmi bianchi delle statue in Grecia” risponde Beatrice.

Nike è il nome di una multinazionale americana che fabbrica scarpe da tennis, ma è anche il nome di una statua greca priva di braccia e di testa.
Le dico che forse lei può sentirsi come la nike, come una statua dell’antichità a cui manca un braccio o una gamba oppure la testa, cioè c’è una mancanza, che priva l’insieme di una sua completezza.

“L’immagine penetra”, scrive Trevi, “dove il pensiero non può giungere e riflette ciò che il pensiero, per conservare la sua integrità, deve necessariamente escludere dal suo campo visivo alternativa al pensiero, l’immagine tuttavia lo sollecita e spesso lo precede…”
Attraverso questo sogno Beatrice prende coscienza dell’enorme vuoto lasciato dal padre, Beatrice si permette finalmente di piangere e inizia a vivere il dolore non più come alimento per il senso di colpa, ma come nuova possibilità di relazione e di arricchimento.
Jung scrive: “Una sofferenza incompresa è notoriamente difficile da sopportare e, d’altro canto, è spesso sorprendente vedere che cosa un uomo può sopportare se ne comprende la causa e il fine.
L’uomo sofferente non trova mai aiuto nelle sue proprie elucubrazioni, ma soltanto nella verità sovrumana, rivelata, che lo solleva dalla sua dolorosa condizione.
Dalla sofferenza della psiche deriva ogni creazione spirituale e ogni progresso dell’uomo spirituale”

“Ho sognato di aver portato a casa un gattino, che sembrava morto dal freddo e invece dopo averlo avvolto in calde coperte lo do a mio marito e il gattino si risveglia”

Beatrice sta meglio, dice di sentirsi più serena e consapevole.

So che la “guarigione è comunque provvisoria” e le sue certezze sono scritte sulla sabbia. Ma gli elementi di armonia, di bellezza e di verità che a tratti sono emersi, la fiducia che si possa essere amati e talvolta capiti, rappresentano un patrimonio inalienabile.

Statua di Atena Nike, Louvre Parigi

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