La vita quotidiana è piena di avvenimenti frustanti, tentiamo di prendere l’autobus e riusciamo a perderlo, alla riunione il capo ufficio pare avercela con noi e non riusciamo a concentrarci. Nella pausa pranzo il nostro partner pare non ascoltarci, e poi alla sera in famiglia tutti sembrano parlare linguaggi incomprensibili; e non parliamo poi di quei drammatici momenti in cui si perde il lavoro, oppure, peggio ancora si va incontro ad una separazione coniugale.
E se un evento traumatico ci colpisce? Se accade che non amiamo più il nostro partner o una persona cara muore, o noi stessi abbiamo un incidente?
Nel passato il trauma era la fonte della nostra creatività , l’evento che ci faceva crescere e che ci conduceva verso l’individuazione, verso la ricerca del nostro senso e del nostro scopo, e la poesia, la letteratura, l’arte hanno avuto origine dal trauma trasformato in qualcosa d’altro.
Attualmente invece appena il dolore bussa alla nostra porta, andiamo da uno psicologo o da uno psicoterapeuta e cerchiamo nella diagnosi la nostra identità ; sindrome da ansia generalizzata, se sentiamo paura di vivere, ansia sociale per definire un carattere introverso, libera ansia fluttuante di fronte alla precarietà dell’esistere.
Parliamo di attacco di panico se all’improvviso “nel mezzo del cammino della nostra vita” ci troviamo a fare i conti con la morte, grande rimosso della nostra società . Sembra che in qualche modo, la sofferenza sia diventata patologica, soffri? sei malato, hai angoscia? devi essere curato.
Non si prende mai in considerazione che la sofferenza, che incontriamo nel nostro percorso di vita, non è necessariamente una patologia e non richiede per forza una medicalizzazione psicoterapica.
Soffrire infondo non è che il sintomo della nostra vulnerabilità di uomini, e secondo Hillmann nel libro “La vana fuga degli Dei” le divinità si mettono in contatto con noi attraverso il nostro trauma.
“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” diceva Ungaretti nella sua metafora sulla caducità della vita, era libera ansia fluttuante?
Certamente era una maniera sublime di esprimere il disagio, un modo sublime ma indubbiamente anche terapeutico.
Nella società attuale l’esigenza di funzionare al meglio non lascia spazio per il disagio esistenziale, che diventa patologia, si è sani se si è conformi altrimenti si corre dallo psicologo oppure s’intraprende una psicoterapia cognitivista o comportamentista.
Frank Ferudi afferma che la patologizzazione delle esperienze umane risponde all’esigenza di omologare gli individui.
L’imperativo terapeutico che si va diffondendo promuove non tanto l’autorealizzazione, quanto l’autolimitazione.
Infatti, postulando un sé fragile e debole, implica che per la gestione dell’esistenza sia necessario il continuo ricorso alle conoscenze terapeutiche. […] È allarmante che tanti cerchino sollievo e conforto in una diagnosi.
Si può individuare, nell’istituzionalizzazione di un’etica terapeutica, l’avvio di un regime di controllo sociale. […] La terapia, infatti, come la cultura più vasta di cui fa parte, insegna a stare al proprio posto. In cambio offre i dubbi benefici della conferma e del riconoscimento.
F. Furedi, “Il nuovo conformismo” (2004), pp 29, 248
James Hillman invece in Cento anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio, sostiene che le psicoterapie si propongono di adattare l’individuo a una società che genera malessere e finiscono per generare ulteriore malessere nell’individuo e nella società .
Non si vuole qui negare l’utilità della psicoterapia.
La terapia aiuta quando non si funziona più quando le nostre paure ci invalidano e ci impediscono l’autonomia. Ma cosa c’è sotto quella paura? Qual è il demone o l’archetipo che giace nell’ombra?, e inoltre perché far sparire il sintomo?
James Hillman dice:
“la psicologia ritiene che ogni sintomo non è altro che il modo sbagliato di esprimere la cosa giusta”
“Assecondate i vostri sintomi […] poiché di solito nel caos c’è il mito, e il caos è un’espressione dell’anima”
Diceva Rilke a proposito
“Non voglio che siano eliminati i dèmoni, perché si porterebbero via anche gli angeli”
L’approccio della psicoanalisi alla malattia e al sintomo è sicuramente diverso dalle psicoterapie comportamentiste o cognitiviste.
Per la psicoanalisi l’essere conformi è il tratto tipico della malattia, e per la psicoanalisi, è proprio l’obbligo di essere conformi ad una società ormai “malata” che crea il disagio esistenziale e le varie categorie diagnostiche, che vengono poi catalogate nel DSM.
Psicoanalisi, patologia, psicoterapia e filosofia
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Sebbene questo sia l’assunto teorico, però la psicoanalisi si situa fuori dal contesto storico, essa basa la sua indagine nella patologia e nella biografia, mentre oggi sono la geografia e la storia a “rubare” l’anima, e a creare paura ed angoscia.
Attualmente gli individui sono sempre apparentemente vicini, si può avere un proprio caro in un altro continente e vederlo, attraverso Skype, tutte le sere, in poche ore si vola da una città all’altra e la geografia e la storia mutano ad una velocità vertiginosa. La nostra visione del mondo finisce per rimane troppo angusta, se si ripiega sulle nostre angosce infantili.
Comprendere il mondo in cui viviamo e chiarire la nostra visione del mondo, può aiutarci a reperire un senso alla nostra vita. Il senso che noi diamo al nostro vivere e al mondo sono responsabili del nostro modo di pensare e di agire, di gioire e di soffrire.
Ma la ricerca di senso non è una faccenda di psicoterapia ma è una faccenda da consulenza filosofica.
La filosofia nasce in Grecia, nel V secolo a.c. e nasce proprio come pratica di vita.
Tali erano le scuole filosofiche greche, prima che la filosofia, si disinteressasse della vita e divenisse solo conoscenza teorica.
Il “bisogno di filosofia” è dettato dalla persuasione, come dice Platone, che “una vita che non mette se stessa alla prova, non è degna di essere vissuta“; e per chi ha simili aspirazioni l’incontro con la consulenza filosofica potrebbe essere l’occasione che lo differenzia, che lo porta all’altezza della sua vita nell’ottundimento del mondo.
A raccomandarlo è lo stesso Kant, che in proposito scrive:
Spetta al filosofo prescrivere una dieta per l’anima. […] per questo il medico non dovrebbe negare al filosofo un suo intervento, se questi talvolta tentasse l’impegnativa cura della pazzia.
La ricerca del senso è una faccenda filosofica mentre in analisi si impara a saper ricordare veramente, a saper liberare la fantasia, ma soprattutto a saper trovare le parole per le cose invisibili.
La filosofia aiuta a ritrovare il “senso“, la psicoanalisi a ritrovare “Le parole per dirlo” (titolo del libro di Marie Cardinal) e a liberare quella che Hillman chiama la “psiche poetica“.
Le parole per dirlo è una storia tutta al femminile di un’analisi. È attraverso l’analisi che Marie riscopre la vita e ritrova la felicità ed è attraverso l’analisi che svela il talento del quale era stata dotata sin dalla nascita: la scrittura.
Gli psicoanalisti sono stati scrittori e i pazienti a volte si ritrovano scrittori o almeno se non proprio scrittori riescono a riscrivere la trama della loro vita. Le storie cliniche che i pazienti raccontano, trasformate in narrativa danno sollievo da ansie ed angosce ma anche il processo inverso leggere e ritrovare le stesse ansie e angosce nei libri di narrativa aiuta.
All’interno della stanza di analisi il paziente tesse la sua storia, storia che da sollievo a raccontarla e che da sollievo sentire che è già stata raccontata magari seicento anni fa.
La psicologia, a mio avviso, dovrebbe prendere l’avvio non dalla fisiologia del cervello o dalla struttura del linguaggio, o dall’analisi del comportamento ma dalla narrativa, dalle biografie in ultima analisi dalle storie.
È strano come agli psicologi il cui lavoro consiste nell’ascoltare storie, non venga insegnato su come la gente racconta storie, con l’aiuto della letteratura, del giornalismo e persino dei verbali dei processi.
L’esperienza creativa fa parte delle normali facoltà e modalità della persona; e oltre alla scrittura e la filosofia anche la pittura e il disegno aiutano ad esprimere sentimenti ed emozioni inesprimibili.
Jung riteneva che la creatività fosse un istinto primario e che la nevrosi venisse generata da un blocco di questo impulso e la psicoanalisi junghiana privilegia l’attività artistica come fulcro di qualsiasi guarigione.
L’ipotesi che la mente umana sia strutturata secondo “forme a priori“, gli archetipi, induce gli psicologi di matrice junghiana a scrutare le immagini nelle quali questi archetipi si incarnano, per sondare il vissuto psichico più profondo e i concetti fondamentali di rinascita e di trasformazione.
Lo psicoanalista di Pollok, considerava l’itinerario creativo dell’artista come uno sforzo di rinascita.
L’arte permette un’espressione diretta, immediata, spontanea, arcaica e istintiva di noi stessi che non passa attraverso l’intelletto e quindi può essere utilizzata per esprimere, attraverso il colore e il disegno, l’immagine interna, che diventa a questo punto immagine esterna visibile e condivisibile.
Nel disegno si possono rappresentare i nostri mostri e con il colore si manifestano i nostri stati d’animo.
Da sempre la malinconia è nera, il quadro Melacholia di Durer, simbolicamente rappresenta, in termini alchemici, le difficoltà che si incontrano nel tentativo di tramutare il piombo (anime delle tenebre) in oro (anime che risplendono), lo stato d’animo vitale e appassionato si tinge di rosso, il bianco ci rimanda a quella rinascita di cui parla la psicologia junghiana, e vediamo, nel quadro di Chagall, due bianchi sposi librarsi liberi sopra i tetti delle case.
Chi sta male, quindi, non sempre deve ricorrere alla psicoterapia e far tacitare i suoi sintomi, si può trovare sollievo anche nelle arti o nelle consulenze psicologiche che lavorano utilizzando tecniche artistiche.
Noi psicologi e psicoterapeuti dovremmo, forse, ascoltare di più al di là di scuole, associazioni e metodi e capire “il bisogno” della persona che cerca aiuto.
Le contaminazioni tra una disciplina e l’altra permettono di cogliere meglio le sfumature dell’animo umano di non perdere “l’origine dell’anima” che è immutabile dalla notte dei tempi, perché un adolescente di oggi può ritrovarsi nei dolori del giovane Werther, mentre un giovane uomo inquieto e desideroso di un altrove, può desiderare di andare oltre le colonne d’Ercole, come un nuovo Ulisse.
Sentire che i nostri malessere, le nostre angosce non sono solo sentimenti che sentiamo noi in quanto diversi ma che appartengono all’animo umano da sempre, ci fa sentire facenti parte del tutto.
Si va in psicoterapia perché ci si sente diversi ed è legittimo voler essere come tutti gli altri, ma esistono molte altre strade per chi vuol essere semplicemente se stesso.