ATTACCHI DI PANICO: Martina sino alla fine del mondo

Martina ha 25 anni, entra nel mio studio con passo deciso e con un atteggiamento da maschiaccio, indossa grossi scarponi, jeans e giubbotto di pelle.
Ha un enorme casco in mano, e inizia subito a raccontarmi della sua passione per la moto e poi del suo lavoro; è impiegata in una ditta di spedizioni.

“È stata la mamma a dirmi di prendere appuntamento con una psicologa, è lei, la mia migliore confidente, siamo sempre insieme.”

Martina abita in casa con i genitori e al piano superiore abita la sorella sposata con figlia. Sono un nucleo familiare molto unito e un po’ caotico, dove ci si scambia vestiti e confidenze.

“Mi metto sempre gli anelli di mamma, e Alice non trova mai le forcine per i capelli perché le uso io, ma come mi arrabbio, quando mia sorella mi prende le scarpe”

Alice è la figlia della sorella.
Spesso liti furiose turbano la quiete familiare e nascono conflitti che paiono irrisolvibili, ma che in realtà rientrano rapidamente.

Martina racconta che, sul lavoro, è stata colta da un violentissimo attacco d’ansia.

“Stavo spiegando ad un collega cosa doveva scrivere sui container prima dell’imbarco, le scritte riguardavano ciò che conteneva il container e la ditta d’appartenenza, e ne determinavano il destino nel senso che una volta identificati sarebbero stati smistati e mandati nei vari porti”
Si ferma, il viso, in genere solare, si fa triste
“… e all’improvviso mi sono sentita morire, non potevo più respirare, avevo paura, tanta paura”

“Sono stata portata al pronto soccorso e curata con un tranquillante. Ora vivo nel terrore che quel malessere possa tornare.”

Martina mi dice di sentirsi estremamente insicura, e di non poter fare a meno di chiedere alle persone come si comporterebbero al posto suo, alla fine ha tante soluzioni, che finiscono con l’aumentare il suo dubbio,

“Vivo perennemente nel dubbio”

Mi guarda e mi chiede cosa deve fare, e contemporaneamente dice:

“Non riesco a fare le cose per forza.”

Mano a mano che procediamo nel nostro lavoro, quasi magicamente scopre, che il contesto in cui si è scatenato l’attacco di panico, non è estraneo a come lei si sente, e al momento particolare che sta attraversando.
Scrivere sui container il loro nome, significava destinarli ad un porto, significava assegnare a loro un destino.
L’evento rimandava in qualche modo alla sua situazione psichica;
Martina si sente estranea a se stessa, non sa dove andare, non conosce la sua destinazione, ma contemporaneamente scegliere dove andare la terrorizza, perché dovrebbe abbandonare tutte le altre possibili scelte e insieme ad esse il rassicurante mondo dell’infanzia.

Pablo Picasso, 1933, Blanton Museum of Art ©Picasso Administration, Paris, France
Pablo Picasso, 1933, Blanton Museum of Art
©Picasso Administration, Paris, France

La consapevolezza della propria separatezza porta a una maggiore libertà; più libertà implica più scelta e più scelta comporta una maggiore responsabilità.

Scrive Silvia Veggetti Finzi “L’atto di scegliere evocando margini di libertà e di intenzionalità, istituisce il soggetto psicologico ma, al tempo stesso, lo confronta con un destino impersonale, dove scegliere ed essere scelto coincidono.”

Leggo a Martina una novella.

Si narra che, “quando un nomade arabo esitava a prendere una decisione, sceglieva tre frecce: su una scriveva “Il mio signore mi ordina” e sulla seconda “Il mio signore mi vieta“.
La terza non aveva alcuna scritta.
Egli riponeva le frecce nella faretra, poi ne prendeva una a caso e seguiva i suoi consigli. Se gli capitava la freccia dove non c’era scritto niente, ricominciava da capo l’operazione.”

Il non scegliere inteso a bloccare ogni anelito al movimento ha come obiettivo quello di fissare all’immobilità.
Il conflitto principale di Martina è proprio questo, non sceglie, procrastinando la scelta ha l’illusione di rimanere sempre bambina, felice e protetta, tra le braccia della mamma.

L’individuazione è un processo continuo, il cui scopo è la ricerca della totalità.
L’individuazione implica lo sviluppo di una sempre crescente consapevolezza dell’identità personale, che comprende sia le qualità positive, desiderabili, e gli ideali dell’io, sia le qualità che appartengono al dominio dell’Ombra.
Implica, inoltre, una sempre crescente consapevolezza della propria separatezza, dello sviluppo di se stessi come di una persona unica e completa, relativamente distaccata dalle proprie origini personali e sociali e tesa a scoprire i propri valori personali.
In scopi della psicoterapia, Jung scrisse che nei suoi pazienti cercava di far nascere uno stato psichico in cui essi iniziassero a sperimentare con la propria natura “uno stato di fluidità, mutamento e divenire, in cui nulla è eternamente fissato e pietrificato senza speranza.”

Martina oppone resistenza, in qualche modo cerca di fermare il mondo, la vita le fa paura, ma anche il rimanere pietrificata le incute terrore e quindi è ferma, scegliendo ha paura di non essere le mille cose che avrebbe potuto essere.
Scegliendo sempre la freccia dove non vi è scritto nulla però finisce con il non essere le mille cose che avrebbe potuto essere.

Prendendo coscienza di ciò Martina sta un po’ meglio, dimentica la paura di avere nuovi attacchi di panico, ma si fa ogni giorno più malinconica.

“Vorrei ritornare all’infanzia, vorrei tornare in Sicilia, la casa che avevamo in Sicilia era fiorita, soleggiata era profumata di mare”

La malinconia è la sua compagna nella ricerca di sè ma piano, piano, Martina inizia a costruire una sua identità, quando è triste scrive poesie oppure disegna, qualche volta sogna.

“Ho sognato un liquido lattiginoso bianco, che lentamente si alzava verso il cielo. Ed io lo guardavo salire e pensavo che era bello anche se sapevo che era la fine del mondo.”

La fine del mondo è un simbolo diffusissimo, che rappresenta la caducità di tutte le cose, le quali, devono giungere alla loro fine e trasformarsi.

L’infanzia lascia spazio all’adolescenza, l’adolescenza alla maturità e così via.

Le antiche civiltà hanno forgiato un’immagine ciclica di continue distruzioni e nuove costruzioni del cosmo.

Il cristianesimo interpreta l’espressione “ultimi giorni” come il tempo del giudizio universale, nel quale Dio, in qualità di giudice, divide il bene dal male e gli uni fa salire in cielo mentre danna gli altri all’inferno.
L’armonia perfetta è rappresentata simbolicamente dalla ricostruzione del paradiso terrestre, una volta eliminato ogni male.

Il Giudizio Universale costituisce il tema della ventesima carta degli “Arcani Maggiori”, nel gioco dei Tarocchi; carta nella quale è raffigurato un angelo che soffia in una tromba al di sopra delle tombe spalancate, dalle quali si ergono uomini nudi.
Si può interpretare come: rinnovamento, ringiovanimento, giudizio, desiderio di immortalità.

E intanto, Martina continua a disegnare:

“Mi sembra, a volte, che creare sia un tentativo di far cessare la malinconia.”

In realtà il disegno per lei è un modo per sentir meno dolore, ma anche per tentare di ricostruire un nuovo mondo, dopo che il paradiso originario è andato perduto.

E così una Martina molto femminile, e forse per la prima volta in gonna mi dice di aver conosciuto Daniele e di essersi innamorata.

“Sto bene con Daniele, non ho più paura, ma spesso, molto spesso, penso ancora che prima era meglio, tutto ciò che ho non sarà più come prima, il paradiso è perduto per sempre.”

Riconoscendo l’ineluttabilità della perdita, l’irripetibilità del passato, si organizza lo sfondo sul quale si staglia l’identità, ma le connotazioni di solitudine e di abbandono, che questo implica, sono difficili da tollerare, anche se colorate di speranza per il futuro.

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